Mancano poche ore alla prima visita di Matteo Renzi alla Casa Bianca. Venerdì prossimo il presidente del Consiglio italiano sarà a Washington, per un colloquio col capo di Stato americano, Barack Obama.
Qual è lo stato delle relazioni tra Italia e Stati Uniti? E quali saranno i temi più scottanti sul tavolo?
Ecco l’opinione dello storico ed economista Giulio Sapelli, dal 1996 al 2002 nel cda Eni, dal 1994 ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei e autore del pamphlet “Dove va il mondo” (edizione Guerini).
Professore, che tipo di viaggio è quello che porterà Matteo Renzi negli Usa?
Se il candidato democratico sarà Hillary Clinton credo che i Repubblicani avranno buone opportunità di vincere le elezioni, soprattutto se il loro uomo sarà Jeb Bush. Sarà interessante, dunque, vedere l’atteggiamento dei Repubblicani nei suoi confronti, sempre che ne abbiano uno. Renzi potrebbe doversi confrontare con loro un domani. Per quanto concerne il viaggio in sé, non si tratta di una visita particolare o dettata da urgenze. Rientra nella normale prassi delle relazioni transatlantiche. Tutti i nostri presidenti del Consiglio lo fanno. Starà a Renzi renderlo speciale o quantomeno proficuo.
Cosa dovrebbe fare il presidente del Consiglio per renderlo tale?
Sono molti i dossier comuni che meriterebbero un approfondimento. Penso alle spese militari, ai rapporti in ambito Nato, all’evoluzione della crisi ucraina e alle divergenze sulle sanzioni a Mosca, al ruolo del nostro Paese nel Mediterraneo che credo sarà il tema centrale, ma anche al Ttip. In un momento in cui Barack Obama sembra più interessato a guardare ad Oriente, Roma dovrebbe ravvivare il dibattito su questo importante trattato commerciale, per tirare fuori il Vecchio Continente dalla marginalità geopolitica. L’Italia può diventare davvero la cerniera tra Washington e Bruxelles.
Questo ruolo non è già interpretato dal Regno Unito?
Londra ha scelto di giocare una partita solitaria. Ambisce a diventare l’hub globale della finanza, con o senza l’avallo di Washington. I rapporti tra Usa e Regno Unito sono ancora speciali, ci mancherebbe, ma si stanno deteriorando. Renzi dovrebbe chiedere rassicurazioni anche su questo. Le sempre maggiori sintonie con i cinesi – dal sostegno alla valuta cinese, il renminbi, fino all’adesione alla nuova banca per le infrastrutture voluta da Pechino, l’Aiib – non hanno fatto gioire troppo la Casa Bianca. E temo che gli effetti di questo braccio di ferro si faranno presto sentire anche nel nostro Paese.
In che modo?
Fa male ammetterlo, ma l’Italia è di fatto uno Stato a sovranità limitata, gestito da poche potenze. Sul piano economico pesano molto Francia e Germania. Su quello geopolitico e finanziario Usa e Regno Unito. Ogni scossone si riverbera su di noi. Ecco perché dobbiamo ambire a ritagliarci un ruolo indipendente nel Mediterraneo, ma legato a Washington. La nostra posizione è strategica, ora sta a noi costruire questa opportunità. In questo senso, Renzi si sta muovendo bene. Fin dal suo insediamento come presidente del Consiglio ha avuto l’intelligenza geostrategica di comprendere che doveva guardare più a Sud che ad Est. Il suo primo viaggio da premier fu in Tunisia, sta ravvivando le relazioni con l’Egitto e guarda con interesse ai Paesi del Golfo, ma non è sufficiente.
Cosa manca all’Italia per diventare un punto di riferimento nel Mediterraneo?
Si tratta di un obiettivo non facile, perché coinvolge tanto Washington quanto noi. Gli Usa, al momento, adottano una politica contraddittoria. Da un lato sostengono le nostre battaglie economiche in seno all’Unione europea, opponendosi all’austerity tedesca; dall’altro appoggiano le pulsioni militari dei Paesi ex comunisti contro la Russia, Polonia in primis, spostando il baricentro della sicurezza europea più ad Est che a Sud, nonostante le minacce che sono sotto gli occhi di tutti. Gli Usa stanno sottovalutando troppo la capacità saudita di far guerre per procura. Noi abbiamo alcune carte da giocare per bilanciare meglio questo equilibrio.
Quali sarebbero?
Serve rispettare gli accordi – Muos e non solo – per poi chiedere maggiore considerazione. Dobbiamo convincere gli Stati Uniti che siamo partner affidabili, ma che guardiamo anche al nostro interesse nazionale. Siamo sempre stati buoni alleati, ma da tempo non esprimiamo più quella tensione culturale necessaria a stabilire intese a vantaggio di entrambi.