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Renzi da Obama. La posta in palio per l’Italia

Da quando è al vertice del Pd e di Palazzo Chigi, Matteo Renzi ha avuto innumerevoli occasioni di visibilità che ha saputo cogliere con impressionante abilità. Nelle prossime ore tuttavia avrà un incontro che probabilmente segnerà in modo decisivo il suo mandato. La visita a Washington rappresenta un fatto cruciale, per lui personalmente e per le relazioni del nostro Paese con lo storico alleato.

Il presidente del Consiglio era già stato nella capitale americana e aveva avuto già modo di incontrare Obama, anche a Roma. A differenza di quando il presidente Usa fu accolto a Palazzo Chigi (il meeting fu molto meno riuscito di quanto descritto dalla stampa italiana), lo scenario di riferimento è notevolmente cambiato.

Anzitutto, in Italia non c’è più Re Giorgio che dal Colle più garante ha garantito in questi anni una relazione specialissima fra le due sponde atlantiche. Allo stesso tempo, la divaricazione fra Washington e Bruxelles è molto cresciuta. La Germania spinge con vigore l’Europa verso Est: la Russia è sulla via che porta verso la Cina. Sebbene la Polonia abbia costruito un prezioso ruolo di bilanciamento e contenimento a questa visione eurasiatica, è evidente che per contrastare la forza di Berlino serve la leadership di una nazione di quelle che l’Europa l’ha fondata.

L’Italia ha le carte in tavola per giocare esattamente questa partita e negli Stati Uniti c’è questa consapevolezza e in parte speranza. Questo sentimento è però molto mitigato da una preoccupazione autentica, e profonda: l’inaffidabilità di un Paese che si propone come campione del gioco delle tre carte, alleato con tutti e di nessuno. Lo stesso Renzi sulla politica estera è stato giudicato non sempre coerente.

L’abbraccio con Putin e l’atteggiamento ambiguo sulle sanzioni economiche contro Mosca, insieme alla assenza di filtri rispetto agli investimenti “strategici” della Cina, hanno fatto sollevare più di qualche sopracciglio nell’Amministrazione americana. Per non parlare delle considerazioni su Difesa e Sicurezza Nazionale che vedono l’Italia gravemente in ritardo tanto sugli investimenti in armamenti quanto sulle capacità di assicurare una adeguata cyber security.

Le ombre insomma ci sono, eccome. Obama però è consapevole che il nostro Paese è forse l’unico che oggi può fare la differenza in uno scacchiere complicato che vede il Mediterraneo al centro di dinamiche fondamentali per le relazioni internazionali del futuro. Ecco perché la Casa Bianca ha scelto di sfoderare i guanti bianchi.

Renzi non dormirà a Villa Firenze, la residenza dell’ambasciata italiana a Washington, ma alla Blair House: un privilegio riservato solo a pochi ospiti stranieri. Anche la durata dell’incontro rappresenta un segnale di enorme importanza: due ore invece che i consueti 30/40 minuti. In linea di principio ci sono le condizioni perché il colloquio possa essere propizio di un rinsaldamento della relazione transatlantica.

Renzi ha già anticipato di essere disponibile a continuare l’impegno italiano in Afghanistan (punto che sta molto a cuore agli Usa) ma dovrà in qualche modo giustificare il disastro giudiziario del Muos con un tribunale locale che mette sotto sequestro una infrastruttura militare americana di significativa rilevanza. Sulla delicatezza dei rapporti con la Russia il premier è stato adeguatamente informato così come Obama è a conoscenza della priorità italiana: la Libia (dossier rispetto al quale la Casa Bianca attende con ansia di conoscere quale è il piano “vero” di Roma).

Il punto vero però non è capire cosa si inserisce nella lista del dare/avere ma se si riesce ad interpretare ogni dossier come parte di una strategia più ampia e profonda che parte dal Ttip (che può essere, grazie al lavoro preparatorio del vice ministro Calenda, la vera chiave di volta nelle mani di Renzi) e può arrivare fino alla controversia europea su Google.

L’impressione è che Washington, pur non facendo velo dei numerosi dubbi, voglia provare a scommettere sull’Italia? Noi saremo capaci di fare altrettanto e di tenere il punto? Il selfie di Renzi con il presidente Usa non sarà sufficiente. Quindi l’ex sindaco di Firenze si gioca la partita della sua leadership internazionale, l’unica che davvero conta.



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