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Liguria, cosa non capisco del caso Paita

Sono costretto a riprendere il discorso di ieri, quando criticavo il fatto che solo ora, alla vigilia delle elezioni, la procura di Genova ha inviato alla candidata del PD, Raffaella Paita, un avviso di garanzia per i disastri provocati dall’alluvione dell’ottobre scorso. Alcuni lettori hanno reagito criticando il mio ragionamento con argomenti che io rispetto, ma considero sbagliati. E ne parlo perché la questione è di grande rilievo per come vanno da tempo le cose politiche in Italia.

In questi interventi critici si dice: “La magistratura ha i suoi tempi che non c’entrano con i tempi politici”; oppure: “la procura doveva aspettare le elezioni?”; ancora: “dal momento che la magistratura sospetta l’esistenza di un reato deve intervenire, la legge è uguale per tutti”.

Io non mi sarei stupito se dopo i disastri dell’alluvione, come è avvenuto in altri casi, all’assessore competente – in questo caso la Paita – venisse spedito un avviso di garanzia: cioè, non un condanna ma l’inizio di un’indagine che può concludersi con un’archiviazione o una richiesta di rinvio a giudizio. Mi chiedo: la procura ha saputo che la Piata era l’assessore competente solo ora? C’è stato un “pentito” che l’ha informata di questo fatto?

Se l’assessore avesse ricevuto l’avviso, forse non si sarebbe candidata alle primarie e, in ogni caso, la procura avrebbe fatto quel che si fa in questi casi. Perché farlo sei mesi dopo, e alla vigilia delle elezioni, scatenando una campagna politico-giudiziaria?

Non faccio insinuazioni, ma gli atti giudiziari che incrociano la politica debbono essere sempre ben motivati ed avere una logica, per tutti. È così che si difende lì’indipendenza della magistratura e quella della politica.

Le sorti elettorali della Paita a me non interessano affatto. Mi interessa, invece, e molto, il rapporto così discusso e malato tra politica e giustizia che è ormai una piaga della democrazia italiana.


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