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Isis avanza e la Chiesa condanna (con qualche precisazione)

O si paga la jizah, l’antica tassa per la protezione dei cristiani che perfino l’Impero ottomano declinante aveva mandato in soffitta, o si viene uccisi. E’ la sintesi del filmato, ventinove minuti in tutto, che Al Furqan Media ha messo in rete per spiegare cosa tocca ai cristiani se non accettano la “vera fede”. La prospettiva, come detto, è quella di finire come i ventotto etiopi, la cui esecuzione chiude il video. Alcuni decapitati, altri colpiti con arma da fuoco alla nuca. Nel filmato compare anche un’istantanea di Benedetto XVI rivestito dei paramenti sacri.

LE PAROLE DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA CEI, GALANTINO

Non sarà una guerra di religione, certo, ma i cristiani ormai non passano più solo per il coltello di Jihadi John. E’ di qualche giorno fa la notizia che dodici migranti sarebbero stati gettati in mare da un barcone salpato dalle coste libiche da quattordici musulmani. Sull’episodio – il primo nel suo genere – aveva gettato acqua sul fuoco il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino. In un’intervista concessa alla Stampa, sabato scorso, il presule ha infatti sostenuto che “bisogna innanzitutto capire bene lo svolgimento dei fatti e non attribuire a questa tragedia significati che potrebbe non avere”. E poi, ha aggiunto Galantino, “quando ci sono persone stipate per giorni nei barconi, in condizioni così precarie, ogni minima lite o risentimento può far scatenare atteggiamenti imprevedibili”. Non si tratta però di minimizzare, assicura: “Cercare di capire non significa sottovalutare la situazione generale dei cristiani, che si sta aggravando, come purtroppo quotidianamente vediamo. Significa soltanto essere prudenti prima di iscrivere subito il fatto terribile che è accaduto nell’ambito di una guerra di religione”.

LA DISTRUZIONE DELLE TOMBE CRISTIANE A MOSUL

Venerdì scorso erano state postate online le immagini della profanazione del cimitero di Mosul. “Gli uomini dello Stato islamico hanno distrutto  le tombe cristiane del cimitero della città, le lapidi sono state prese a martellate. A testimoniare la nuova profanazione, gli stessi terroristi che hanno postato foto e video su Internet”, ha scritto la Radio Vaticana, aggiungendo che “i miliziani hanno anche giustificato lo scempio sostenendo che le tombe simboleggiano che i morti sono più vicini ad Allah dei vivi e dunque le immagini sulle lapidi dovevano essere cancellate e i loro sepolcri demoliti”.

“PERDERE TUTTO MA MANTENERE LA FEDE” 

L’ultimo appello alla comunità internazionale, affinché intervenga presto a porre un argine all’espansione del Daesh, è arrivato dal vescovo ausiliare di Babilonia dei Caldei, mar Yousif Mirkis. “Siamo una minoranza fragile e sono orgoglioso che i cristiani non abbiano abiurato la loro fede. Spesso i cristiani hanno preferito perdere tutto, ma mantenere la fede”.

LA POSIZIONE DEL CARDINALE PAROLIN 

La posizione della Santa Sede è quella spiegata dal segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin. Tenendo una lectio magistralis all’Università Gregoriana, lo scorso 11 marzo, Parolin aveva spiegato che “nel disarmare l’aggressore per proteggere persone e comunità non si tratta di escludere l’extrema ratio della legittima difesa, ma di considerarla tale – extrema ratio appunto – e soprattutto attuarla solo se è chiaro il risultato che si vuole raggiungere e si hanno effettive probabilità di riuscita”, aveva detto. “Non sto qui solo richiamando una costante dell’insegnamento della chiesa, ma anche quelle norme del diritto internazionale che hanno fatto superare la convinzione secondo cui l’uso della forza armata si può solo umanizzare, ma non eliminare”.

“LECITO E URGENTE ARRESTARE L’AGGRESSIONE”

A settembre, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, aveva detto: “E’ sia lecito sia urgente arrestare l’aggressione attraverso l’azione multilaterale e un uso proporzionato della forza. Come soggetto rappresentante una comunità religiosa mondiale che abbraccia diverse nazioni, culture ed etnicità, la Santa Sede spera seriamente che la comunità internazionale si assuma la responsabilità riflettendo sui mezzi migliori per fermare ogni aggressione ed evitare il perpetrarsi di ingiustizie nuove e ancor più gravi”.



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