Ci sono tre cose da sapere bene ora che la crisi più lunga dal dopoguerra ad oggi sembra essersi arrestata. L’implosione dei sistemi finanziari del 2008 ha messo a dura prova governi e finanze pubbliche ma anche i privati vivranno in un mondo completamente trasformato. La logica è quella del liberi di tutti. Di salvarsi come di affondare, senza aiuti esterni. Così cambia il mondo per le società, i conti pubblici e i portafogli privati.
Partiamo dalle società. Matteo Renzi ha annunciato la fine del capitalismo di relazione ma questa nuova era i vecchi salotti buoni l’hanno consacrata già da un po’ di tempo. E il motivo è semplice: con lo sboom dei valori di Borsa e la riduzione del capitale di rischio, è tramontato per sempre il vecchio adagio di Enrico Cuccia (copyright di Donato Menichella) per cui le azioni si ‘’pesavano’’ e non si ‘’contavano’’. Ora le azioni si contano eccome e nessuno vuole più buttare soldi pur di far parte di un club di eletti che produce magari solo perdite. In questo modo, tutte le aziende sane saranno maggiormente contendibili e si tratta di una svolta importante.
Secondo effetto, anche questo positivo, della fine della crisi, è poi la catartica riduzione dei tassi d’interesse sui titoli del debito pubblico europeo che solo 4 anni fa sembrava del tutto avveniristica. L’epoca dei tassi a zero rende comuni gli obiettivi di risparmiatori e banchieri ed è una cosa mai avvenuta nell’economia recente: entrambi, infatti, non saranno più disposti a pagare gli Stati per comprare i loro bond sovrani a interesse negativo ma cercheranno rendimenti migliori. Ecco spiegato il motivo per cui si sta registrando un aumento consistente dei mutui e perché potrebbe ripartire il settore immobiliare.
Il terzo effetto della fu tempesta finanziaria è invece perverso e comporta rischi sconosciuti per tutti i clienti di una banca. Con la riforma operata in Europa dei regolamenti sui bilanci pubblici e privati è stato stabilito che la comunità non interverrà più per salvare gli Stati come gli istituti finanziari. Ai Paesi penseranno gli ombrelli sovranazionali (come, appunto, i Fondi salva-Stati il Fondo monetario internazionale e il futuro Fondo monetario europeo), delle banche in grave difficoltà si occuperà in solido chiunque ha a che fare con loro e non più i governi. In termini tecnici, si passa dal sistema di ‘’bail out’’ (salvataggio esterno) a quello di ‘’bail in’’ (salvataggio interno).
La sintesi della lingua inglese nasconde un passaggio epocale. Il cambiamento è previsto dalla direttiva europea Banking recovery and resolution entrata in vigore dal primo gennaio 2014 un po’ alla chetichella e che dovrà essere approvata in Italia attraverso un decreto legislativo ancora all’esame del Parlamento, che prevede peraltro la necessità di ulteriori passaggi attuativi. Ma il dado sembra tratto. La novità comunque è abbastanza chiara e sarà bene che la tengano presente tutti coloro che pensano di aprire un conto o acquistare bond e azioni di un istituto di credito: lo Stato non interverrà più a salvare le banche in stato fallimentare.
L’arduo compito toccherà proprio agli azionisti prima, agli obbligazionisti poi, e se non fosse sufficiente, interverranno anche i correntisti. Sono fatti salvi solo i conti fino a 100 mila euro, un livello di garanzia già sancito dalla legge italiana e che diverrà operativo in tutta l’Unione. Se ne sono già avuti degli esempi pratici a Cipro – dove gli oligarghi russi sono stati chiamati ad aprire i portafogli – e presto accadrà anche in Austria, con una banca in default, la Hypo Alpe Adria.
Il funzionamento è piuttosto semplice: una volta dichiarato il bail-in (per evitare il default della banca), evento possibile ma che al momento è del tutto da escludere, si bloccano tutte le transazioni sui titoli azionari e obbligazionari, ma anche sui conti correnti, fino a quando non si definisce il livello di intervento necessario per turare le falle che si sono aperte nei bilanci. A seconda del livello di rischio degli investimenti si passerà ad annullare i crediti degli azionisti, degli obbligazionisti e infine, se necessario, anche dei correntisti e titolari di conti deposito, con esclusione come detto dei primi 100 mila euro, che dovrebbero essere coperti da un fondo interbancario di tutela dei depositi, in via di costituzione per tutta l’Unione. Come ha giustamente sottolineato Italia Oggi, non è certo il caso di fasciarsi la testa prima di averla sbattuta (considerato anche il livello di solidità delle banche italiane) ma sicuramente giova ricordare il livello di intervento pubblico in Europa negli ultimi anni.
Germania, Spagna, Irlanda, Paesi Bassi, Grecia, Belgio, Austria, Portogallo e Italia hanno speso in tutto 441 miliardi di euro in prestiti per consolidare le loro banche. Una montagna di denaro che, se dovesse servire di nuovo in caso di fallimenti, graverà sulle tasche dei cittadini e non più dei governi.