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Lega Nord, tutte le tensioni tra Salvini e Maroni (non solo sul reddito di cittadinanza)

Sono agli antipodi innanzitutto nell’abbigliamento. L’uno sempre elegante tanto da venire definito come l’uomo della Lega in giacca e cravatta, l’altro che invece ha fatto delle sue felpe e magliette un brand identitario. Dagli stili nel vestire alla sostanza politica, le distanze tra Matteo Salvini e Roberto Maroni aumentano con il passare del tempo. E dopo la cacciata dell’ex maroniano Flavio Tosi dal Carroccio orchestrata dal segretario federale, secondo alcuni osservatori di vicende leghiste il prossimo redde rationem sarà proprio con il governatore lombardo.

IL DUELLO SUL REDDITO DI CITTADINANZA

L’ultima diatriba tra Maroni e il suo ex delfino Salvini arriva sul reddito di cittadinanza. All’indomani della marcia umbra del Movimento 5 Stelle guidata da Beppe Grillo, l’ex ministro del Welfare annuncia che in Lombardia intende sperimentare questa idea giudicando “interessante” la proposta dei grillini e ipotizzando di stanziare 227 milioni di euro del Fondo sociale europeo con l’assestamento di bilancio di luglio. Salvini non ci sta e di rientro dal tour in Puglia replica a stretto giro parlando di “elemosina di Stato” e dicendosi “contrario in linea di principio”. Passano pochi minuti e le agenzie ribattono la secca controreplica di Maroni. I due, insomma, iniziano a suonarsele. Bobo però non è uomo da guerre, almeno non adesso che Salvini è troppo forte. Per ora, dicono i suoi, si limita a qualche punzecchiatura.

A MARONI E’ SFUGGITA DI MANO LA SITUAZIONE

“Bobo pensava di poter controllare Matteo, era convinto di riuscire a tenerlo a bada nella gestione del partito e invece gli è sfuggita di mano la situazione”. E’ questo uno dei principali commenti che si sente fare da qualche dirigente leghista non di osservanza salviniana quando gli si chiede conto del rapporto tra il governatore e il segretario. Maroni credeva di aver trovato il giusto equilibrio assicurando a Tosi la scalata alla leadership del centrodestra nazionale e a Salvini la guida del partito, mentre lui faceva il presidente della Lombardia; e invece Matteo una volta salito sulla poltrona di leader del Carroccio ha voluto comportarsi da tale, senza badanti di turno. Così ha fatto piazza pulita della corrente di maroniana memoria dei Barbari Sognanti piazzando fedelissimi nei luoghi nevralgici del potere leghista, portando alla ribalta suoi fidati collaboratori provenienti dai Giovani Padani e avviando la campagna di emarginazione degli avversari interni, a partire da Tosi.

GLI SCONTRI SULLE ALLEANZE

La diatriba sul reddito di cittadinanza è solo l’ultima di una serie. A fare, seppure indirettamente, litigare i due sono da tempo le alleanze del centrodestra. Maroni, che governa saldamente in Lombardia con l’Ncd, ha più volte ribadito la bontà di questa formula garantendo che dalle sue parti il rapporto con Area Popolare non sarà certo gettato alle ortiche, anzi semmai andrebbe rinsaldato per il futuro, a partire dalle comunali 2016 di Milano. Peccato che quando Maroni si sia azzardato a proporre una cosa del genere, sia stato immediatamente sconfessato da Salvini, il quale non ha digerito nemmeno l’ultimo rimpasto nella giunta lombarda.

LE DIVERGENZE SULLA MACROREGIONE

La linea nazionalista e destrorsa portata avanti dal segretario federale non piace né a Maroni né ai suoi uomini. Una volta soffiato il partito a Umberto Bossi, Bobo ha infatti lanciato il progetto della Macroregione del Nord insieme con Veneto e Piemonte, regioni entrambe all’epoca a trazione leghista, dicendosi addirittura pronto ad abbandonare il Parlamento di Roma. La vocazione nordista e favorevole a un’autonomia più marcata del Settentrione è nel dna di Maroni, che infatti ha vinto le elezioni facendo breccia con la promessa di tenere in casa il 75% delle tasse versate dai lombardi. Di ben altro avviso è invece il capo del partito, che ormai di Nord non parla più e ha addirittura allargato i confini del partito al Sud con la lista Noi con Salvini nell’ottica di un progetto nazionalista in asse con i partiti della destra italiana, compresa quella più estrema. Roba da fare venire l’orticaria a un ex di Democrazia Proletaria e con una cultura di sinistra come Maroni.

LE TENSIONI SULL’EURO

Discorso analogo sull’euro. E’ vero che Bobo da segretario leghista aveva proposto un referendum consultivo sulla moneta unica, ipotizzandone un’uscita, ma anche in questo caso il suo progetto era ben diverso da quello di Matteo. “L’eurozona così com’è definita – diceva Maroni nel settembre del 2012 – non funziona più. Si discute se si debba o meno rimanere nell’euro. La Lega non è contro l’euro, non vuole uscire dall’euro ma riteniamo che ci siano alcune aree che hanno i requisiti per rimanere nell’euro e altre che non ce l’hanno. Il Nord senz’altro questi requisiti strutturali, a partire dal pareggio di bilancio, li ha”. L’idea, insomma, era quella di un Settentrione d’Italia inserito in una nuova zona euro a trazione tedesca che facesse a meno della zavorra meridionale per fare galoppare il Nord tenendola ancorata alle aree più produttive del continente. Non proprio il piano cui pensa Salvini.


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