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Luci e ombre del petrolio: verso un autunno?

Se si volesse ridurre a poche battute, potrebbe riassumersi così la tesi che il professor Enzo Di Giulio (Scuola Mattei – Eni Corporate University) propone sul primo numero 2015 della Rivista Energia, in un’ampia e dettagliata analisi delle dinamiche di domanda e offerta del petrolio e dei principali dati di bilancio delle major.

Uno sguardo su domanda, offerta e riserve di petrolio ed una riflessione su costi ed Eroi

Il quadro relativo ai primi “è piuttosto confortante […], la domanda di petrolio aumenta ma la produzione riesce a soddisfarla pienamente […] tanto che […] il rapporto R/P cresce”. Tuttavia, il rapporto R/P – spesso citato quale indicatore dello stato di salute dell’industria – “offre solo una visione […] del problema” in quanto non incorpora l’aspetto economico. Nell’ultimo decennio, si assiste infatti ad “una forte crescita dei costi di ritrovamento ed estrazione del petrolio”, nonché ad un considerevole aumento degli investimenti a cui tuttavia fa fronte un’assai più ridotta espansione della produzione. “La ricerca e la produzione diventano sempre più complesse”, osserva l’autore, “la tecnologia è in grado di superare quella complessità ma a costi crescenti.”

Diversi interessanti spunti di riflessione possono trarsi anche dall’Energy Return on Investment (Eroi): l’indicatore dell’efficienza produttiva di una certa fonte energetica. Si osserva, ad esempio, che “i combustibili fossili evidenziano valori sensibilmente più elevati delle fonti rinnovabili”, il cui “aumento indiscriminato e non selettivo […] potrebbe […] determinare un aumento del consumo complessivo di energia, contrariamente a quanto auspicabile.” Ma anche l’elevata inefficienza di shale oil e tar sands rispetto al petrolio convenzionale. Tuttavia, il dato più rilevante ai fini dell’analisi è la tendenza decrescente dell’Eroi per il petrolio, che evidenzia come “la tecnologia non [sia], allo stato dell’arte, in grado di compensare l’esaurimento della risorsa”.

Quali implicazioni per le major?

A prima vista, la sostenibilità economico-finanziaria delle majors potrebbe apparire non particolarmente preoccupante. Analizzando i bilanci delle cinque majors (BP, Exxon, Total, Shell, Chevron), Di Giulio osserva come “seppure i costi diretti crescano negli anni […] i ricavi aumentano di più. Questo perché le variabili economiche poggiano sul prezzo del petrolio che, se “crescente e comunque elevato [chiude] il cerchio in modo assai efficace”.

Tuttavia, il quadro muta se l’attenzione viene posta sul free cash flow, “un indicatore più sottile del reddito netto” che è andato riducendosi nel quinquennio 2010-2014 a fronte della crescita di spese capitali, dividendi e operazioni di acquisto di azioni che hanno altresì comportato “l’espandersi dell’indebitamento delle compagnie”.

Un problema di scarsità

Secondo l’autore, la “decrescita dell’Eroi del petrolio […] e la netta diminuzione del numero di barili scoperti e della dimensione media dei giacimenti […] segnalano in modo inequivocabile le crescenti difficoltà e le barriere di natura fisico-geologica che l’industria petrolifera deve superare”. Ciò non può che indicare “un cammino nella direzione della scarsità”. Tuttavia, tempi e modi sono ancora ignoti e imprevedibili. L’industria petrolifera “ha già vissuto nel non lontano passato altri autunni” e da questi abbiamo imparato come l’innovazione tecnologica e lo spirito imprenditoriale che la caratterizza possono sempre riservare straordinarie sorprese.

(L’articolo integrale è stato pubblicato nel numero 1.2015 della Rivista Energia nell’ambito di un pacchetto di analisi dedicate al mondo del petrolio e che comprende i contributi di Rabah Arezki e Olivier Blanchard (Fmi), Edward L. Morse (Citigroup), Alberto Clò (Rivista Energia), Sergio De Nardis (Nomisma). Per una maggiore completezza dei contenuti e accuratezza dei dati si rimanda alla versione originale; ogni eventuale discrepanza è da attribuirsi alla Redazione delle Rivista Energia).



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