Riceviamo e volentieri pubblichiamo
I media italiani hanno una predilezione per i sindacalisti da copia e incolla. Criticano il conservatorismo sindacale ogni volta che possono, ma se all’orizzonte si intravvede una novità se ne tengono prudentemente alla larga.
Così può accadere che un giovane leader dei metalmeccanici, il numero uno della Fim Marco Bentivogli, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco dell’indicizzazione delle pensioni stabilito dalla legge Fornero denunci la trappola “dei diritti acquisiti”, senza che sui media questa posizione, decisamente fuori dal coro, trovi un’eco adeguata.
Può accadere anche che al suo ufficio stampa, che prova a segnalare la notizia alle redazioni, venga risposto: “A qualcuno questo modo di fare sindacato sta sul cavolo”. Meglio, evidentemente, i sindacalisti che sbraitano contro tutto e tutti. E che, sbraitando, finiscono per difendere in blocco l’esistente.
Viene il dubbio che il conservatorismo si annidi, più che nel sindacato, nel corpaccione dei giornali e dei talk show televisivi.
I media sono un bene prezioso in un paese democratico, nella prospettiva di dare voce alla cittadinanza e in funzione critica del potere.
Per queste ragioni ogni qualvolta qualcosa di inedito si muove sul versante sociale, cresce l’aspettativa che il sistema mediatico si faccia veicolo di nuove rappresentazioni della società e delle questioni emergenti. Ma puntualmente tocca prendere atto, con delusione, di un’inclinazione a riproporre letture autoreferenziali che paradossalmente, spesso, parlano di un’altra realtà, di una realtà artificiale.
Due questioni emerse nelle ultime settimane possono essere prese a esempio di quanto abbiamo appena affermato: una è proprio la vicenda pensioni, l’altra è la “proposta” del sindacato unico lanciata dal premier Renzi. L’una e l’altra sono ovviamente leggibili con occhiali sindacali plurali, eppure, se si dà una rapida scorsa agli articoli in merito, è evidente che vengono rappresentate con un format tanto stereotipato quanto pedante: le solite facce e le solite voci!
Ricordo che fino a non molti anni fa, se c’era un ambito nei media dove forte, serio e rigoroso era il lavoro di scavo giornalistico, e nel quale anche all’interno di testate connotate ideologicamente non mancava lo spazio laico per il confronto tra leader, opinioni e giudizi differenti, questo era quello economico-sindacale.
In questo senso, non per sterile polemica, ma proprio per le ragioni connaturate alla comunicazione, al diritto-dovere dei media di fare informazione, sarebbe stato e sarebbe giusto, su un tema socialmente sensibile, che tocca migliaia e migliaia di giovani, come quello delle pensioni, dare voce a chi nel sindacato, coraggiosamente, ha avuto la lucidità di prendere una posizione anticonformista.
Sarebbe l’occasione di rimettere su binari più corretti la discussione sui cosiddetti “diritti acquisiti” e sul fallimento – perché di ciò si tratta – del patto tra le generazioni. Le medesime osservazioni si possono fare a proposito della proposta di “sindacato unico” lanciata dal presidente del Consiglio Renzi, che grazie alla sponda cinica di buona parte dei media ha avuto l’effetto devastante di allargare l’area delle posizioni populiste sul sindacato. Posizioni che, peraltro, proprio quel pezzo minoritario di sindacato che ancora non ha smaltito i fondi di bottiglia dell’estremismo ideologico contribuisce a rendere temibili.
In fondo, la pensa così anche un dirigente politico di lungo corso come Emanuele Macaluso, cui non si vorrà negare, speriamo, una certa conoscenza della storia del sindacato e della sinistra. In un articolo pubblicato su questo sito, Macaluso mette in guardia contro “il vento politico culturale tendente a cancellare il sindacato”. E raccomanda, per contenerne la forza, la medicina dell’unità. Non però nella versione renziana, quella appunto del sindacato unico, ma neppure in quella neo-movimentista della “coalizione sociale” vagheggiata da Landini. Macaluso ne ha anche per “le segrete” intese di Susanna Camusso con Stefano Fassina e altri giochi e giochetti politici”. Trame, dice a ragione, che “servono semplicemente a screditare il sindacato”.
In questa ubriacatura da notizie fatte di slogan e sparate da talk, le buone pratiche, come ha sottolineato giustamente Dario Di Vico in un editoriale pubblicato lunedì 25 maggio dal Corriere della Sera, andrebbero adottate anche all’interno del sistema mediatico.
Non a caso Di Vico cita il caso FCA e gli accordi firmati da sindacati responsabili, quei “sindacati che fanno solo sindacato” (gli stessi che, spiace dirlo Paolo Griseri su La Repubblica continua a definire in ogni occasione “i sindacati del si”; sarebbe bello se parlasse della Fiom come del “sindacato del no”).
Questi accordi, che la Fiom, col sostegno di una parte della stampa e dell’intellighenzia, ha criminalizzato, in realtà hanno riattivato il circuito degli investimenti in Fiat. Ora, dopo le assunzioni a Melfi, vedremo cosa diranno e scriveranno con la riapertura, ormai prossima, del sito di Cassino.
Sappiamo quello che certi giornali hanno già scritto, però: che si trattava di “accordi scritti sulla carne viva dei lavoratori”, ad esempio, salvo poi appurare che probabilmente nessuno si era preso la briga di leggerli. Piuttosto in tante redazioni ci si era limitati ad inforcare gli occhiali dell’unico sindacato che non li aveva firmati.
La pigra abitudine dei media a guardare il mondo sindacale attraverso le categorie novecentesche della Fiom e della Cgil in questa fase si è perfino rafforzata. Oltre che preoccupante è sconfortante. Forse è preferibile “stare sul cavolo a qualcuno” che lasciarsi trasportare dalla corrente.
Nota Bene
Dal mio punto di osservazione come ufficio stampa di un più giovane e riformista leader sindacale, Marco Bentivogli segretario generale della Fim Cisl, che su pensioni e sindacato unico, per citare solo due argomenti, prende posizioni fuori il conformismo scontato e aspettato degli altri leader sindacali (vedi intervista su Linkiesta), mi sento rispondere sempre più spesso da giornalisti e autori di talk show della tivvù pubblica e privata che ancora è poco conosciuto, che la gente è abituata a sentire certe cose da un sindacalista, o come mi è capitato questa settimana in occasione di una intervista su un noto giornale nazionale, poi saltata, che la scelta purtroppo non era giornalistica, ma a “qualcuno questo modo di fare sindacato sta sul cavolo”. E’ chiaro che c’è qualcosa che non va, se giornali e talk show vari continuano a raccontare e a dare un’idea di un sindacato solo conservatore. Fortunatamente nella realtà, dentro le fabbriche, questo pezzo di sindacato, che non fa comodo alla politica e che sta “sul cavolo” a qualcuno dei media c’è, cresce e la “svolta” contro tutto e tutti la darà. E’ solo questione di tempo.
Augusto Bisegna
ufficio stampa nazionale Fim Cisl