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Elezioni regionali, ecco i sogni proibiti di Renzi

Da queste elezioni regionali e comunali Matteo Renzi avrà comunque qualcosa da guadagnare, a dispetto delle apparenze e di quanti ne auspicano l’indebolimento, o lo scivolamento sulla buccia di banana della lista dei candidati “impresentabili” diffusa all’ultimo momento dalla commissione parlamentare antimafia presieduta dall’antirenziana Rosy Bindi. Una lista comprensiva, a sorpresa, di Vincenzo De Luca: l’ex sindaco di Salerno candidato del Partito Democratico a governatore della Campania.

Pur intervenuto abbastanza nella campagna elettorale, nonostante le complicazioni di politica interna e internazionale – dalle pensioni alla scuola e all’immigrazione – gli avessero potuto dare il pretesto di un disimpegno, Renzi si è aperto a ogni tipo di risultato.

Dismesso rapidamente il sogno del 7 a 0, l’ipotesi cioè dell’aggiudicazione al Pd di tutte le regioni in palio, dal Veneto alla Liguria, dalla Toscana all’Umbria, dalle Marche alla Puglia e alla Campania, il capo del governo ha ripiegato via via sino al 4 a 3, mettendo nel conto la sconfitta del Pd in Veneto, Liguria e Campania. Dove a peggiorare la già difficile situazione di De Luca, condannato in primo grado per abuso d’ufficio, è stato un processo in corso per concussione e altro riesumato dalla Bindi in tempi e modi che hanno fatto rivoltare la dirigenza del Partito Democratico. Renzi ha parlato di un uso distorto della commissione antimafia per “regolare i conti nel Pd”, il capogruppo al Senato, Luigi Zanda, di “pura barbarie politica” e il presidente del partito Matteo Orfini di “processi nelle piazze aizzando le folle”.

Ma Renzi non si strapperebbe le vesti neppure se il risultato dovesse trasformarsi in un 4 a 3 alla rovescia, con uno smottamento per esempio del Pd anche nelle Marche, dove il governatore uscente di sinistra ha cambiato maglia pur di tentare la rielezione. I numeri di cui egli dispone nel partito lo metterebbero al riparo da ogni tentativo di assalto. Particolarmente grottesca tuttavia è la situazione della Liguria e della Campania, dove a Renzi potrebbe addirittura convenire più perdere che vincere.

In Liguria la sconfitta della candidata del Pd Raffaella Paita, potendosi verificare a vantaggio di Giovanni Toti, o addirittura dei grillini, solo grazie ai voti perduti a sinistra per la concorrenza di Luca Pastorino, messo in campo dalla dissidenza post-comunista, consentirebbe a Renzi di mettere con le spalle al muro la già malmessa minoranza del partito. Che sarebbe rappresentata come il marito che si evira per fare dispetto alla moglie, o lo scorpione che affoga pur di pungere la rana che lo trasporta sul fiume, o lo stupido che sega il ramo su cui è seduto.

In Campania, poi, una conferma del berlusconiano Stefano Caldoro toglierebbe Renzi come presidente del Consiglio dall’imbarazzo enorme in cui rischia obiettivamente di metterlo una vittoria di De Luca.

Forte proprio dell’appoggio garantitogli di persona dal capo del governo, l’ex sindaco di Salerno si aspetta di trovare a Palazzo Chigi l’aiuto necessario per allargare le maglie della sospensione alla quale, in caso appunto di vittoria, sarebbe destinato dalla cosiddetta legge Severino per effetto della condanna subìta, sia pure solo in primo grado, per abuso di ufficio.

Appena costretto dalla Cassazione a non fare più affidamento, per i suoi ricorsi, sui tempi rapidi e sulla giurisprudenza favorevole del tribunale amministrativo, e a sottostare invece alla competenza assai meno rapida e generosa della magistratura ordinaria, De Luca potrebbe mettere in qualche modo in salvo la sua amministrazione solo se il presidente del Consiglio, cui spetta il decreto di sospensione, lo lasciasse insediarsi con calma e nominare uno o più vice, nonché gli assessori. Ma ciò esporrebbe Renzi – che non ha voluto, o avuto il coraggio di promuovere una risolutiva modifica della legge Severino, dopo l’uso fattone contro l’allora senatore Berlusconi – a un esercizio alquanto anomalo e sfrontato delle sue funzioni di governo, fra prevedibili e gravi ricadute politiche.

Ad un Renzi pubblicamente rammaricato di una sconfitta di De Luca si potrebbe applicare, ma rivoltato, il vecchio detto popolare del buon viso a cattivo gioco. Stavolta sarebbe cattivo viso a buon gioco. D’altronde, il presidente del Consiglio ha già garantito rapporti istituzionali doverosamente costruttivi con il “buon” Caldoro, se confermato alla guida della Campania.



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