“La questione che abbiamo promosso riguarda direttamente il sindaco di Napoli De Magistris e solo di riflesso Vincenzo De Luca. Il Movimento difesa del cittadino ha deciso di promuovere quell’azione perché da quando è in vigore la legge Severino ci sono stati decine di amministratori sospesi, che sono rimasti ‘colpiti’ dalla norma, e ci sono stati molti pronunciamenti del giudice amministrativo che hanno respinto i loro ricorsi. Quasi nessuno di dunque ha avuto la tutela di cui hanno potuto godere dal Tar Campania i sindaci De Magistris e De Luca. Quello che noi abbiamo contestato è la titolarità della giurisdizione”.
Così parla Gianluigi Pellegrino, l’avvocato e giurista che ha propiziato la decisione della Corte di Cassazione che sta dando gli incubi al segretario del Pd e presidente del Consiglio Matteo Renzi. E pensare che Pellegrino, cinque anni fa, fu uno degli avvocati del Pd che riuscirono a ottenere la cancellazione delle liste del Popolo della libertà alle elezioni regionali del Lazio, in una vicenda in cui i delegati del Pdl con le liste arrivarono tardi per il deposito delle stesse e Renata Polverini si trovò senza il partito di maggioranza.
Da quella ordinanza infatti “De Luca o altri amministratori non potranno più contare sull’intervento immediato del Tar Campania” (sul quale evidentemente De Luca contava, ndr) e dovranno ricorrere al giudice ordinario, il cui procedimento è “ben più articolato“, come spiega Pellegrino. E la stessa presidente Pd della Commissione giustizia della Camera Donatella Ferranti non può che confermare che i tempi del giudice ordinario saranno sicuramente più lunghi di quelli del giudice amministrativo.
Nel frattempo però non sembra esserci alternativa alla sospensione, nel caso in cui De Luca vincesse le elezioni. Si è parlato molto in questi giorni del tempo che sarebbe lasciato all’eventuale vincitore di insediarsi e nominare un “suo vice di fiducia”, come dice ancora Pellegrino. Ma le motivazioni dell’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione non sembrano lasciare dubbi: “Nella configurazione legislativa della legge Severino non è attribuita alla Pubblica amministrazione alcuna discrezionalità in ordine all’adozione del provvedimento di sospensione”, dice la Cassazione. La sospensione “opera di diritto al solo verificarsi delle condizioni legislativamente previste e per il tempo previsto dal legislatore; al prefetto non è attribuito alcun autonomo apprezzamento in ordine all’adozione di provvedimento di sospensione e non è consentito di modularne la decorrenza o la durata sulla base della ponderazione di concorrenti interessi pubblici”.
Pellegrino traduce così: “Si tratta di una attività obbligatoria e vincolata, che deve essere compiuta dal governo sentito il Prefetto. Renzi non può indugiare, e chi lo chiede sembra non rendersi conto che il presidente del Consiglio si renderebbe responsabile – se esitasse – di un abuso d’ufficio vero e proprio”. Compie abuso d’ufficio, dice Pellegrino recitando il codice penale “chiunque ritardi un atto del proprio ufficio per procurare ad altri un vantaggio che non vi sarebbe se l’atto fosse tempestivo”.
A questo punto che il giurista si accalora, perché “il Pd è il partito che io voto, Renzi è il segretario che io voto”. E dunque?
“Dunque il Partito Democratico, che pure è il partito per cui parteggio, che sostengo, vota con apparente entusiasmo in Parlamento una legge che dice che se hai una condanna in primo grado non puoi esercitare le tue funzioni di presidente di Regione”.
A proposito: De Luca dice che per lui la norma non si applica alla prima elezione.
“De Luca sbaglia anche qui. La Legge Severino prevede che non si applichi in caso di reati bagatellari. De Luca è condannato per abuso d’ufficio, un tipico reato contro la Pubblica amministrazione per il quale la sospensione è prevista sempre. So che ha citato dei giuristi che glielo hanno detto, temo si siano sbagliati”.
Per Pellegrino l’unica soluzione “decente” che il governo avrebbe potuto prendere è quella di un decreto legge da fare prima del voto (ormai evidentemente troppo tardi) che prevede che in casi come questi si attribuiscano le funzioni vicarie al l’eletto anziano nella coalizione della maggioranza.
Il giurista torna dunque al tema di cui si discute da almeno venti anni: il rapporto tra la democrazia e lo stato di diritto, tra la legge e la volontà popolare, tra i “giudici” e la “politica”. E invita il suo partito a parlare chiaramente: “Quello che non possiamo è dire che De Luca lo abbiamo candidato perché è il popolo che lo ha voluto. Non possiamo proprio dire che se De Luca vincesse le elezioni è il popolo che lo ha deciso e dunque va tutto bene. De Luca può anche essere eletto con un plebiscito, ma ripetere questo ritornello vuol dire ripetere esattamente quel che da anni urla Berlusconi. Dopo che lo abbiamo espulso dal Parlamento italiano”.
(la versione integrale dell’articolo si può leggere sul blog di Paolo Martini)