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Renzi è ancora renziano?

Che sta succedendo al renzismo e alla narrazione renziana? La domanda non è del tutto peregrina, in attesa dei risultati definitivi del voto regionale. Eh sì, perché l’interrogativo prescinde anche dell’esito delle elezioni per il Pd (tanto si troverà sempre il modo di dire di aver vinto… anche se è finita 5 a 2).

I candidati governatori del Pd sono emblematici di una rottamazione renziana che se ha piegato Largo del Nazareno e i gruppi parlamentari all’onda renziana non è riuscita a sfondare in periferia. Nessuno degli aspiranti governatori democratici è renziano doc. Michele Emiliano in Puglia di sicuro non lo è mai stato veramente. Alessandra Moretti è stata ultra bersaniana e si è convertita al verbo renziano con Renzi segretario. Raffaella Paita in Liguria è espressione di un blocco democratico che faceva e forse fa ancora perno su Claudio Burlando, non proprio un renziano antemarcia anche se fra i primi della vecchia guardia del Pd nazionale che ha abbracciato con entusiasmo l’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi, come testimoniano i video della direzione Pd che giubilò Enrico Letta premier, sostituendolo con Renzi. Sicuramente non può essere considerato un renziano doc neppure Enrico Rossi in Toscana, che evidentemente – nella regione renziana per antonomasia – ha comunque trovato un proficuo modus operandi con il premier e segretario.

E che cosa ha di renziano, ovvero di rottamatorio e modernista, Vincenzo De Luca? Eppure i vertici nazionali del Pd hanno lasciato correre il sindaco di Salerno con una condanna in primo grado per abuso d’ufficio e con la legge Severino che lo considera candidabile ma ineleggibile. Il pasticciaccio campano operato da Renzi e De Luca – così come definito e stimmatizzato da Emanuele Macaluso – si è trasformato in un pateracchio istituzionale con la “sentenza” della Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi. Il risultato è stato un inguacchio elettorale che cozza con il baldanzoso rinnovamento giovanilistico, e moralisticamente lapiriano, sbandierato da Renzi.

Beninteso, il premier non ha mai assecondato toni giustizialistici, anzi. I buffetti ai giudici che si impicciano di politica e la responsabilità civile introdotta per i magistrati indicano una impostazione liberale – berlusconiana, direbbe invece il Fatto di Marco Travaglio – e ben poco dipietrista. Però nel contempo Renzi si è voluto circondare di magistrati come Nicola Gratteri e soprattutto Raffaele Cantone, issato come garante della moralità politica del governo Renzi.

Ma la inusitata decisione dell’Antimafia di bollare come “impresentabile” De Luca può segnare un punto di non ritorno per la narrazione renziana, checche’ se ne possa pensare della “sentenza” della commissione presieduta da Bindi.

Anche per questo ci si chiede: quanto Renzi è ancora renziano?


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