Qualche volta Marco Travaglio azzecca le battute contro i suoi nemici politici (che vorrebbe tutti in galera). Dopo le elezioni regionali, ha ironizzato, “Renzi è diventato più umano”. Intendeva dire che non è invincibile, che il suo potere non è illimitato e perfino contendibile. Non è un riconoscimento da poco, se si pensa che fin qui il premier era stato descritto come il despota di una dittatura parafascista.
Ma Renzi deve apparire più umano anche a quegli esponenti della minoranza del Partito democratico che lo hanno sempre considerato un alieno sbarcato a Largo del Nazareno per ridurre in schiavitù i terrestri postcomunisti e postdemocristiani. Ma facciamo pure finta che la battaglia dei difensori della “ditta” contro il marziano abbia un suo ubi consistam politico (accanto a quello antropologico, che si traduce in una insofferenza viscerale per la sua leadership di cui Rosy Bindi è l’espressione più genuina).
In fondo, insieme alla renziana vocazione maggioritaria in un sistema tendenzialmente bipartitico (e, va aggiunto, tendenzialmente presidenzialista), resta in campo la vecchia vocazione ulivista in un regime pluripartitico e a centralità parlamentare. Ma, invece di aprire un confronto alla luce del sole su queste due prospettive strategiche, Bersani e soci si sono persi in risibili guerricciole sul tasso di preferenze e di nominati dell’Italicum.
Al di là del meccanismo di voto, tuttavia, anche chi rifiuta l’idea del Partito della nazione non può negare che il Pd è oggi obbligato a slittare verso il centro, ovvero che il suo futuro è legato alla capacità di rappresentare gli elettori intermedi (area socialmente composita, che comprende anche quei ceti popolari che scelgono da che parte stare in base non alle ideologie, ma alle concrete offerte del mercato politico).
È esattamente lo scoglio su cui si sono infranti i sogni di gloria di Romano Prodi e, in questa tornata elettorale, di Matteo Renzi. Molti suoi elettori hanno scelto l’astensionismo (su cui hanno pesato i pasticci delle pensioni e della scuola), e molti altri gli hanno ritirato la cambiale firmata un anno fa alle Europee (a partire dai ceti medi del Veneto). In questo senso, come si dice a Roma, ora Renzi si deve “dare una regolata”. Altrimenti, il rischio che il rottamatore prima o poi venga rottamato dai cacicchi locali è molto elevato. I suoi avversari interni più temibili sono infatti i De Luca e gli Emiliano, non gli affezionati (un po’ patetici) al vecchio rassemblement della Cosa rossa. Qualcuno se la ricorda? La sinistra italiana si sta ancora leccando le ferite per quella disastrosa stagione.