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Cosa penso della riforma Madia sulla Pubblica amministrazione

Due sera fa, alla Camera dei Deputati, la 1ª Commissione ha effettuato l’audizione di ben 17 parti sociali, in merito all’Atto Camera 3098, la “riforma Madia” della pubblica amministrazione.

Audizione dovuta, ma stigmatizzabile nel modo: per sentire tutti (confederazioni sindacali e soggetti dalla consistenza più o meno palpabile) il Presidente Sisto ha dato la parola a ciascun capo delegazione per ben 3 minuti ciascuno. E’ pur vero che le parti sociali hanno consegnato
documentazione dettagliata delle loro posizioni (anche elettronica) ma come si può considerare “audizione delle parti sociali” un frettoloso ascolto di 3 minuti?
Comunque sia, ecco un breve resoconto dei problemi emersi, come espressi dai “17 relatori”.

1) Prima di riformare, si sarebbe dovuto provvedere alla elaborazione di un testo unico che riassumesse la normativa in essere sulla P.A., ovvero il testo attuale del d.lgs.165/2001 e s.m.i., da raccordarsi con la legge Brunetta.

In altri termini, occorrerebbe allineare le fonti normative, sincronizzando almeno le regole contrattuali con le fonti normative primarie. La scelta è stata diversa, quella di legiferare su tutto!

2) Subito dopo, si sarebbero dovuti precisare in dettaglio gli obiettivi della nuova riforma, sul piano nazionale e periferico, gli strumenti da adottare e le risorse da utilizzare.

3) Di seguito, si sarebbe dovuto prendere atto dell’organizzazione esistente, sia a livello dei comparti che a livello dirigenziale. Si sarebbero così individuate le differenze tra comparto e comparto e tra area dirigenziale ed area, sia in tema di ruoli (primo, secondo livello residuali solo in alcune aree) che in tema di funzioni e di retribuzioni.

4) Si sarebbe così arrivati ad una scelta numerica e qualitativa dei comparti, in linea o meno con la legge Brunetta ( 150/09) con salvaguardia o meno di alcune specificità (medici, sanitari, VVFF, magistratura, protezione civile, Presidenza Consiglio, Segretari comunali).

5) Si sarebbero così gettate le basi per una riforma sostanziale della P.A. e non per una semplice riorganizzazione, caotica e parziale.

6) Ne è scaturito invece un impianto legislativo criticabile per molteplici
motivi:
– la tecnica legislativa ( che prevede ben 13 decreti delegati, con ovvia frammentazione, parcellizzazione e discrezionalità delle norme).
– una riforma della P.A. priva di coraggio e che non crea le condizioni per migliorare i servizi pubblici.
– una decontrattualizzazione del lavoro pubblico ( art.13), con passaggio ad un impianto normativo imposto per legge, in controtendenza rispetto alla privatizzazione del lavoro pubblico, voluta da Bassanini e dal d.lgs.165/01.
– un nuovo centralismo, con lesione sia delle autonomie locali che del ruolo delle parti sociali ( art.7). Nei fatti, lo Stato arretra dai territori, come se si disconoscessero i problemi infiniti creati dall’assetto regionale
– una evidente volontà di disconoscere il valore del lavoro pubblico e delle conquiste della contrattualizzazione.
– uno stravolgimento delle regole contrattuali in essere sulla mobilità (anche volontaria!) e sulla contrattazione aziendale, con compromissione della democrazia sui luoghi di lavoro.
– un modello di P.A. Impostato sul risparmio (riforma a costo zero) e non per ottimizzare i servizi.
– il tentativo di un ricambio generazionale (art.13, c.1, lettera i).
– l’eliminazione delle piante organiche, quasi che esse non siano state costruite sul fabbisogno reale (eventualmente da rideterminare) ma su dogmi astratti.

7) Il testo finale del Senato e l’eccesso di delega pongono seri dubbi sulla costituzionalità della legge definitiva.

8) Ne è scaturito un modello dirigenziale non chiaro (art. 9), svincolato dalle regole contrattuali e totalmente legificato. 4 le possibili criticità: incarichi (tipologia, meccanismo di affidamento- revoca e decadenza , obiettivi per la dirigenza, sistema di valutazione ). Apparentemente, dall’articolo sono scomparse le regole per la valutazione dei dirigenti, regole peraltro frutto di decenni di contrattazione pattizia. Al proposito, la CONFEDIR richiede la
presenza di un componente sindacale nella commissione di valutazione dei dirigenti (come avveniva all’esordio) e che la commissione di valutazione sia composta in prevalenza da membri esterni.

Ancora, nel testo mancano elementi significativi che identifichino il ruolo dirigenziale come “servizio, rispetto, democrazia”. Manca la volontà di valorizzare le persone e le loro funzioni. Unico parametro vero: la solita “produttività”.

Nell’art.9 manca una reale distinzione tra i ruoli dirigenzial-gestionali puri ed i ruoli professionali (es. Medici, farmacisti, veterinari del SSN) per i quali la dirigenza vera può essere limitata ai soggetti con prevalenti compiti gestionali. Al proposito, andrebbero chiariti i rapporti tra la norma Craxi, la legge 229/99 ( area contrattuale autonoma ) e l’A.C. 3089.

Ancora, in sanità appare obbligatorio il conferimento degli incarichi dirigenziali e va posto uno stop al “reclutamento degli apicali in forma dire tra”, senza che la politica non venga chiamata a rispondere delle scelte sbagliate od improprie.

Nello stesso art. 9 andrebbe inserita la vicedirigenza, unico mezzo per evitare disastri come quello recente dell’Agenzia delle Entrate.

9) Anche il riordino del restante personale (art.12-13) si presenta lacunoso, con la previsione di una delega in bianco con cui si incide sulle materie contrattuali (d.lgs.165/01 da ricostruire…) e con estrema genericità sui criteri del lavoro pubblico.

10) L’abolizione dei Segretari comunali pone seri dubbi di incostituzionalità, anche per scomparsa della loro funzione di controllo della legalità degli atti amministrativi.
In tema di ricerca, ricordiamo che l’articolo 10 non risolve il problema dello stato giuridico dei ricercatori e dei tecnici universitari, i quali continuano ad essere privi di un ruolo professionale.

11) Tutto ciò in attesa della sentenza della Consulta ( 23/06) sulla incostituzionalità del prolungato blocco contrattuale e della evidente volontà dei governi a ledere il diritto alla contrattazione.

Come si può pensare che una P.A. “politicizzata, sottopagata e con poca carriera” possa realmente essere utile al Paese?
Come si può pensare che una seria riforma della P.A. Possa essere validamente fatta:
A) con pochi confronti con le confederazioni;
B) privilegiando la legge rispetto alle norme contrattuali;
C) precarizzando la dirigenza;
D) bloccando il contratto per circa 10 anni;
E) inserendo elementi di incostituzionalità nelle norme relative alla dirigenza, ai segretari comunali, al corpo forestale dello stato;
F) non inserendo il quadro costituzionale di riferimento ( quale governo, quale parlamento, quali regioni, quali province…. ) e la previsione dell’articolazione delle funzioni sta stato centrale ed enti locali;
G) prevedendo una serie infinita di deleghe in bianco, i cui tempi saranno lunghi;
H) ipotizzando una riforma a costo zero e contro il mondo di chi lavora nella P.A., quando sarebbe stato molto più facile chiedere ed ottenere una concreta collaborazione da parte delle parti sociali.
Quelle stesse che oggi, con voce quasi unanime, bocciano questa riforma, considerandola “degna di una Madia….”.

Stefano Biasioli

Segretario Generale CONFEDIR


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