La rapida ascesa di Matteo Renzi si è fondata sulle radici poste nell’“alto” e nel “fuori”. È stato l’esito terminale di un movimento storico-politico che nasce dal commissariamento della democrazia italiana gestito (per conto di vari sistemi di influenza internazionale) da Giorgio Napolitano tra il 2010 e il 2011, s’ingaglioffisce in un troppo lungo e alla fine inetto governo Monti, deperisce con un debolissimo governo Lettino e ha il suo vertice con un voto nazionale per un parlamento europeo che testimonia la paura degli elettori della Penisola e la speranza che l’ex sindaco fiorentino apra una varco al nuovo.
Chi è convinto che una situazione così complessa e una società così articolata come la nostra non possano essere guidate “dall’alto e da fuori”, non è stupito oggi dello sbandamento renziano. Però sa anche che le condizioni in cui è finito lo Stato italiano non possono che produrre disgregazione: e constatare la giustezza delle previsioni non fa meno paura.
La disgregazione non ha bisogno di essere alimentata, si espande da sé e oltre a un certo limite produce situazioni catastrofiche non rimediabili.
Chi nasce dall’alto, non può che manifestare dall’alto i segni della sua decadenza: la banda tedesca che accoglie con “Azzurro” Renzi al G7, Barack Obama e Vladimir Putin che trattano il nostro premier come un accattone sugli scambi commerciali, le figuracce che raccogliamo su immigrati e Libia, lo scherno che persino Alexis Tsipras dimostra verso le proposte di Roma di riforma dell’Europa, segnalano anche a un’opinione pubblica molto afflosciata la fine del mito del grande vincente e diventano il contesto dell’inasprirsi delle più tradizionali guerre italiane.
Innanzi tutto quella ormai ricorrente dopo il 1992, che avviene tra la magistratura e la politica e all’interno della magistratura stessa, l’unico potere ancora vertebrato dello Stato italiano ma dalle caratteristiche feudali per cui le sue manifestazioni aiutano piuttosto che contrastare la disgregazione: questo è avvenuto con le mosse contro Vincenzo De Luca a cui si è poi contrapposta subito la rispolveratura della cosiddetta Mafia Capitale il tutto accompagnato da una sorta di massacro generalizzato di Ncd. Si tratta di uno scontro più articolato di molti di quelli tradizionali tra protagonismi delle procure: l’asse Cantone-Pignatone-Fbi ha una tale potenza che chi gli si contrappone non è pensabile che non conti su controassicurazioni e non solo all’interno del mondo togato.
Ci sono poi le guerre nell’estenuato establishment italiano: da quelle nel Corriere a quelle nella Cdp. Alla spregiudicata riforma delle popolari mirata agli assetti di Mps. E, ancora, le battaglie intrecciate tra calcio e sistemi di comunicazioni. Si sono rotti gli equilibri degli ultimi anni e sono in corso sommovimenti per trovarne di nuovi. Anche in questo caso il tentativo neodirigistico renziano appare assai fragile, più ridicolo che pericoloso. Non c’è solo un problema di forza adeguata ma anche di classe dirigente: un conto è poter usare “centralmente” una cultura poderosa come quella nittiana alla base di Iri, Commerciale, Mediobanca o quella accumulata dall’Università cattolica e che tanto peserà nell’Eni e nelle partecipazioni statali del Secondo dopoguerra. Un altro è fondarsi essenzialmente sull’esperienza McKinsey, preziosa quando si ha a che fare con problemi aziendali ma inadeguata a intervenire su problemi di portata statuale.
Ma al di là della cultura il punto di debolezza insuperabile è quello della legittimità. E’ impensabile l’idea di avviare un processo costituente contando sui “reclutati per paura di perdere il posto”: la libertà del parlamentare nelle sue singole scelte è un fatto di civiltà, ma se una parte ampia di parlamentari tradisce non tanto il mandato quanto il rapporto sulla cui base è stata eletta, la questione non diventa più di libertà ma di rappresentanza; si trasforma un’istituzione che dovrebbe esprimere la società in una sorta di stipendificio autoreferenziale. L’autorevolezza, e la legittimità sulla quale la prima si fonda, potranno apparire ai nuovi virgulti politici stupidaggini romantiche sostituibili anche solo dalla prontezza di spirito, poi però quando all’estero ti sputacchiano in testa, quando l’unico potere vertebrato ti tratta come inconsistente, e persino il cadaverico establishment italiano ti snobba, allora ti accorgi quanto autorevolezza/legittimità pesino.
La disgregazione procede con metodo: personalmente stimo De Luca ma soprassedere su una legge che ha consentito di eliminare dal senato il capo del centrodestra è un colpo alla legittimità dello Stato. Non andare a votare in Lazio e a Roma dopo che si sono sciolte regioni e comuni per mutande verdi, tentate vacanze, minori pasticcetti scopellitiani a Reggio Calabria, perché un consigliere regionale si travestiva da Batman, diventa un suicidio democratico, un invito irresistibile allo sberleffo grillesco: una politica pagliaccesca si merita solo un comico.
Quei poveretti dell’Ncd (Gentile, De Girolamo, Lupi e ora Castiglione e Azzolini) appaiono sempre più tonni che per un poco elaborato senso di responsabilità o per tornaconti personali hanno cercato il loro momento di gloria in una tonnara. Certi fuoriusciti da Forza Italia dell’ultima ora sembrano quasi il cavallo di Caligola che si rivolge ai suoi colleghi senatori per dare consigli sul prossimo imperatore.
Comprendo che il mix di disperati grillini che pensavano fosse morto Grillo, di tosiani tosati, di bersaniani emarginati abbia dato vita a una massa tale da rendere difficile sciogliere il parlamento. Comprendo che la poca lucidità berlusconiana (è in atto un golpe con governi non legittimati dal voto in sella da tre anni e dunque lasciamoli in sella per altri due) non aiuti. Capisco la paura per i vari “uomini neri” (da Salvini a Grillo). Però solo andare rapidamente a votare può salvarci dal crescere inarrestabile della disgregazione.
Se mai ci fosse chi spera ancora nel riemergere di un’opinione pubblica capace non solo di ruttare ma anche di indicare una via di ripresa della tenuta democratica, costui dovrebbe cercare di suscitare un movimento perché si torni più presto possibile (e magari con un po’ di resipiscenza rispetto all’arroganza di questi mesi da parte di Renzi con piccole modifiche –voto di coalizione – all’Italicum) a votare. Forse prima che scoppi la crisi verticale che ci attende (ma ciò dipende poco da noi e molto da Grecia, Ucraina, Libia, e anche dalla Gran Bretagna) si può ancora aspettare che si abolisca il bicameralismo perfetto. Andare oltre però questo appuntamento è tentato suicidio: un atto punibile anche dal codice penale.