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Come cambierà (forse) la politica estera turca

Il futuro governo turco sarà di coalizione. Mi sembra improbabile che Erdogan e l’AKP rischino nuove elezioni. La politica estera turca ne sarà influenzata non solo nel metodo, ma anche nei contenuti. Nel metodo, perché finirà l’enfasi posta sul “grande capo”, nuovo salvatore dell’identità turca, che prendeva decisioni che non potevano essere contestate.

Nel merito, poiché è verosimile che qualsiasi nuovo governo cercherà di superare le tensioni e i malintesi che Erdogan aveva determinato con le sue “sparate” con gli USA e la NATO e con l’Europa. Avrà infatti un assoluto bisogno dell’aiuto occidentale per rilanciare l’economia, gravata da un forte deficit della bilancia commerciale, deficit coperto solo dagli investimenti diretti esteri, dispensabili per garantire la stabilità sociale. Può farlo solo migliorando i rapporti con l’Occidente, l’unico che possa fornire le tecnologie necessarie per modernizzare le piccole e medie imprese, asse portante dell’economia turca. Il caos esistente nel Medio Oriente e la rottura dei rapporti con l’Egitto, Israele, la Siria e la Libia, obbligheranno la Turchia a un mutamento della politica commerciale finora seguita, componente fondamentale di ogni politica estera.  Le esportazioni in Europa – scese negli anni scorsi dal 60 al 40% del totale – dovranno aumentare. La diminuzione della crescita dal 5,2 al 2,9% e l’aumento della disoccupazione sono state le cause principali della perdita di consenso dell’AKP. In sostanza, la megalomane politica estera turca (neo-ottomanesimo, panturanesimo e panislamismo), che aveva registrato con Erdogan numerosi fallimenti, dovrà divenire da ideologica più pragmatica.

Vari sono i mutamenti che potrebbero verificarsi. I principali riguarderanno l’atteggiamento turco nei confronti della coalizione americana-saudita che combatte lo Stato Islamico in Iraq e Siria. Avrà un impatto positivo anche sulla lotta contro l’ISIS in Libia, data l’influenza esercitata dalla Turchia sull’autoproclamato governo di Tripoli e, soprattutto, sulle potenti milizie di Misurata. Un avvicinamento, almeno indiretto, con Riad vi è già stato con l’appoggio dato da Ankara ai bombardamenti sauditi contro gli Houthi dello Yemen. L’approvazione turca dell’uso da parte dell’aviazione americana della grande base NATO di Incirlik è indispensabile per la prevista intensificazione degli attacchi all’ISIS. Inoltre, non è improbabile che la Turchia aumenti i controlli sull’afflusso, allo Stato Islamico, di rifornimenti e nuove reclute. Queste ultime sono essenziali. La coalizione a guida USA uccide da 800 a 1.000 miliziani al mese, ma l’ISIS riesce a mantenere inalterato il numero dei suoi effettivi, poiché da 1.000 a 1.300 reclute al mese lo raggiungono.

In secondo luogo, per la questione curda, l’interlocutore di Ankara sarà Demirtas, capo carismatico dell’HDP, e non più Ochalan, che pur mantiene un forte prestigio nel PKK. Eccellenti i rapporti della Turchia con i curdi iracheni del clan Barzani, al governo nel nord dell’Iraq. Può darsi che migliorino anche quelli con i curdi siriani, soprattutto se essi romperanno completamente i loro rapporti con Assad.

Un terzo possibile mutamento potrebbe riguardare il problema di Cipro, dove la Turchia mantiene 30.000 soldati a presidiare il Nord dell’Isola, occupato nel 1974. Tale mutamento è facilitato dal fatto che i turchi-ciprioti hanno eletto come presidente un moderato, interessato soprattutto a partecipare allo sfruttamento del Bacino Levantino.

Le modifiche a cui ho accennato potranno essere più o meno profonde e rapide a seconda della coalizione che andrà al governo ad Ankara. Saranno certamente più consistenti e rapidi qualora l’AKP, dopo aver subito quella che ai suoi occhi appare una pesante sconfitta elettorale, mutasse la propria dirigenza. Con sempre maggiore insistenza si fa il nome dell’ex-presidente Gul come speranza del partito. Egli si era sempre opposto al radicalismo autoritario e personalistico di Erdogan.

Insomma, l’esito delle elezioni avrà riflessi importanti non solo sulla politica interna, ma anche su quella estera della Turchia. Saranno positivi, quale che sia la coalizione che governerà il paese. Saranno particolarmente importanti per l’Italia: Ankara costituisce un elemento essenziale per la stabilità non solo del Medio Oriente, ma anche dell’intero bacino Mediterraneo e ben 1.200 sono le imprese italiane presenti in Turchia.


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