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Pensioni, perché impugneremo il decreto sul rimborsino

In questo nostro (maledetto o benedetto) Paese, essere parte sociale non conta più nulla, almeno per il gruppo di oligarchi che è incollato alle poltrone governative. In questa logica, Qualcuno (chi?) ha deciso di limitare le audizioni sul decreto legge 65/2015 solo ad alcuni soggetti e non all’universo mondo sociale, come fatto (ad esempio) recentemente in occasione dell’audizione parlamentare sulla riforma Madia. Anche se in modo “sbrigativo”.

Questa volta, Qualcuno (chi?) ha deciso di non audire la CONFEDIR (Confederazione dei dirigenti, quadri ed alte professionalità della P.A.) sul decreto 65, quasi che la suddetta CONFEDIR non fosse – da sempre –  particolarmente sensibile al tema delle pensioni, tema sempre piu’ al centro del dibattito politico-sociale, soprattutto dopo la recente sentenza della Consulta (70/2015). Quasi che la CONFEDIR non fosse, sull’oggetto, parte attiva nel promuovere azioni legali a tutela dei pensionati lesi dai provvedimenti dei governi Monti, Letta e Renzi.

Tant’è ! Ed allora ci sia concesso questo sfogo cartaceo, per diffondere le nostre idee sul decreto legge in questione. Per carità di Patria, fingiamo di trascurare l’assurdità di un decreto legge per modificare norme economico-tributarie varate quasi 4 anni fa. Comunque sia.

In sintesi, la  Confederazione ritiene inemendabile il testo del D.L.65/2015, perché illegittimo.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 70/2015 ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25 della legge 22 dicembre  2011, n. 214.

L’attuale riformulazione del comma come definita dall’art. 1 del D. L. n. 65 del 21 maggio 2015, ad avviso della Confederazione, non rispetta i dettami costituzionali richiamati dalla Consulta, (così come quanto disposto dall’art. 12 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 per il triennio 2014-2016), secondo cui: “il mancato adeguamento delle retribuzioni (come delle pensioni) equivale ad una loro decurtazione in termini reali con effetti permanenti, ancorché il blocco sia formalmente temporaneo, non essendo previsto alcun meccanismo di recupero, con conseguente violazione degli artt. 3, 36 e 38 Cost” e che “tale blocco incide sui pensionati, fascia per antonomasia debole per età ed impossibilità di adeguamento del reddito – come evidenziato dalla Corte Costituzionale – secondo la quale i redditi derivanti da trattamenti pensionistici non hanno, per loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto ad altri redditi presi a riferimento…” .

Il Governo, invece, punta a restituire come una tantum, e per il solo biennio  2012/2013,  una minima parte delle cifre dovute  ( dal 40% al 10% delle stesse, legate al blocco rivalutativo), ma non a tutti, perche’ la regola vale solo per le pensioni fino a circa 3.000 euro lorde/mese. Nulla, infatti, viene restituito ai pensionati appartenenti alle. fasce superiori.

In soldoni, ad alcuni pensionati si “concede” una mancia una-tantum; a tutti gli altri,invece,  nessuna mancia, di nessun tipo. Si noti bene che il danno causato dal blocco dell’adeguamento all’inflazione, per gli anni 2012-2013, equivale – da solo – a circa una mensilità pensionistica lorda, per ciascuno dei 2 anni citati.

Ed allora? Non solo non si rispetta il dettato della Consulta, ma lo si distorce, dando agli uni un regalino ed agli altri un’ulteriore botta in testa. Nei fatti, non solo si sta creando uno scontro intergenerazionale (padri-figli; nonni-nipoti) ma anche una segmentazione tra i pensionati stessi, mettendo gli uni (quelli con pensioni di minor entità) contro gli altri, “ quelli reputati ricchi”.

La CONFEDIR ritiene, pertanto, che le misure adottate non possano essere condivise per una serie di ragioni non solo giuridiche,  ma anche sociali ed etiche.

Innanzitutto, sul piano giuridico, la misura della pensione non può che essere determinata al momento della cessazione del rapporto di lavoro, sulla base delle regole vigenti al momento, essendo la pensione null’altro che una retribuzione differita, coerente con la contribuzione obbligatoria di una intera vita di lavoro. Una volta raggiunta la pensione, essa non è solo più una legittima aspettativa, ma un “diritto acquisito”. Per Renzi, Boeri, Poletti e C, invece non esisterebbero “diritti acquisiti”…..

Inoltre,da decenni, è stata messa in atto una ventina di meccanismi di calmierazione che operano – in diversa forma -sulle pensioni superiori a 5-8 volte il trattamento minimo INPS.

Si ricorda che le pensioni italiane (specie quelle di maggiore importo), sono gravate da tasse decisamente piu’ elevate rispetto a quelle in atto nella maggioranza dei Paesi dell’UE27.

Se l’Italia ha problemi di bilancio. Se l’INPS ha un deficit di bilancio legato all’eccessiva spesa assistenziale – non coperta da contributi – , allora si provveda a coprire questo “buco” tassando TUTTI i CONTRIBUENTI (e non i soli pensionati!) in modo identico,  a parità di reddito, per i lavoratori attivi e per i citati pensionati. Lo si faccia per tutti i contribuenti, a partire da un certo reddito. Sarebbe cosa equa e giusta. Ma, no, è molto piu’ facile prendersela con i pensionati e poi andare in TV a sproloquiare che “il governo Renzi non ha aumentato le tasse !”.

Dopo le recenti regionali, l’aria del Paese è cambiata. Due milioni di voti in meno al PD sono dovuti a piu’ concause: le “botte” ai pensionati, il caos dei migranti, le tasse sulle case, la ripresa economica “virtuale”.

Ma torniamo al tema iniziale.

Il “blocco strutturale” della perequazione delle pensioni di importo più elevato, rappresenta una soluzione irragionevole, anzi irricevibile. La mancata perequazione automatica delle pensioni superiori a un certo importo contribuisce a precludere la proporzionalità dovuta tra pensione e retribuzione goduta nell’attività lavorativa.

Si ricorda che il sistema tributario è informato a criteri di progressività” e “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

La Confederazione auspica che il Parlamento corregga l’impianto legislativo adottato dal Governo dando completa attuazione a quanto disposto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 70/2015, che ha indicato l’obbligo di una rivalutazione delle pensioni reale e retroattiva, annullando integralmente il blocco sulle indicizzazioni 2012-2013, senza fare alcuna distinzione tra i diversi redditi.

Quindi, il decreto legge 65/2015, oltre ad essere scritto male è anche incostituzionale.

Non lo dice la sola Confedir, lo dicono molte parti sociali e lo pensano illustri costituzionalisti. Renzi non se la caverà tanto facilmente. Impugneremo il decreto, quando si trasformerà in legge e verrà firmato dal Presidente Mattarella. Lo impugneremo, come abbiamo impugnato altre norme di analogo (modesto ed iniquo ) spessore. Ci sarà pure un giudice, a Italialand!


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