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Perché il Pd ha toppato a Venezia (e non solo a Venezia)

I risultati dei ballottaggi nei comuni (e non ci sono ancora quelli della Sicilia) ci dicono che ormai le competizioni elettorali non sono tra partiti e schieramenti omogenei, ma tra notabili e aggregati di pezzi di partiti che non sono tali ma soltanto grossi o piccoli comitati elettorali.

Nel PD c’è chi ancora pensa a un partito articolato nel territorio e chi invece ancora pensa che si vinca con il carisma di Renzi e i capoccia locali.

Il centrodestra in molti comuni ha messo in campo notabili “nuovi” rispetto al passato, e quindi si presentava come alternativa vincente.

Il risultato più significativo, in questo quadro, è quello di Venezia. Ha vinto un imprenditore che sta con la destra ma ha detto e ripetuto, anche dopo le elezioni, che è indipendente e stima Renzi. Tipico segno dei tempi.

Ma cosa dire di Felice Casson, il quale prima chiede al PD di candidare come capolista Nicola Pellicani che nelle primarie si contrappose a lui con uno schieramento riformista, e poi firma i “cinque punti” programmatici dei grillini facendo appello al loro voto e pensando che questo bastasse a vincere?

Anche queste sono forme di trasformismo del “sinistrese”. I grillini vogliono la distruzione del sistema politico fondato sui partiti e il Parlamento: giocano a distruggere e mai a costruire alternative. La mossa di Casson ha quindi allarmato elettori, anche di centrosinistra, e non ha ottenuto voti dai grillini.

La verità è che un partito è tale se ha una sua base politico-culturale e programmatica e può fare alleanze che abbiano una coerenza. Invece, a Venezia come altrove, avviene tutto e il contrario di tutto. E si comincia a pagare lo scotto. È tutto


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