Sfilano lungo i binari a testa bassa, con in spalla uno zaino o tra le mani una sacca di tessuto in cui hanno racchiuso la vita. A Milano lo sbarco dei profughi siriani, eritrei, somali non si arresta e con una frequenza, più o meno precisa, mamme, papà e bambini vengono prontamente accolti da volontari e forze dell’ordine.
Le facce stanche, gli occhi tristi, i sorrisi cancellati. Il tormento dei ricordi non li lascia in pace. “Non è tanto il dolore della guerra che hanno vissuto sulla propria pelle, quanto tutto quello che hanno sopportato durante il viaggio”, dice una volontaria. Nelle acque del Mediterraneo queste persone hanno lasciato un pezzo di se stessi. Alcuni hanno perso un figlio, il marito o la moglie, un genitore. Alcuni di loro, dopo essersi rifocillati e aver accantonato i brutti pensieri, spiegano: “Siamo grati all’Italia per quello che sta facendo per noi ma vogliamo andare via, in Danimarca, Svezia, Norvegia”. Perché? “Alcuni nostri connazionali che sono lì ci dicono che sono riusciti a riappropriarsi della loro dignità umana. Anche noi vogliamo farlo”, raccontano Jocelin e Namu, ventunenni eritrei. Se da un lato quindi ci sono questi “cittadini del mondo”, dall’altro c’è chi ogni giorno fa di tutto per assicurargli un pasto caldo o un letto su cui dormire.
A sovrintendere queste operazioni c’è l’assessorato alle politiche sociali del comune di Milano, guidato da Pierfrancesco Majorino (nella foto). In una conversazione con Formiche.net racconta che cosa vuol dire gestire l’emergenza di questi giorni.
Assessore Majorino, com’è la situazione?
È critica. Ogni giorno ci sono nuovi arrivi, ieri sono arrivate altre sei famiglie siriane, e non sappiamo che cosa ci aspetta nei prossimi giorni. Nel senso che non riusciamo a prevedere quante persone arriveranno e quando arriveranno.
Tutto però sembra essere sotto controllo. O no?
Stiamo riuscendo a gestire la situazione ottimamente garantendo ogni notte ospitalità per tutti nei centri di accoglienza della città. Avremmo difficoltà qualora il flusso degli arrivi si intensificasse in maniera importante, ma per adesso ce la stiamo cavando egregiamente anche grazie alla solidarietà di tutti, dei volontari, delle istituzioni, dei cittadini che quotidianamente ci assicura cibo, vestiti, scarpe, giochi per i bambini.
È scaduto il termine ultimo per l’occupazione delle strutture (che presto si trasformeranno in attività commerciali) in cui avete accolto i profughi dopo la chiusura del mezzanino. Adesso, dove li sposterete?
Trenitalia ci ha messo a disposizione degli uffici dismessi adiacenti alla stazione centrale in cui poter continuare a garantire la prima accoglienza.
Per quanto tempo saranno utilizzabili?
Per alcune settimane. Nel frattempo sono partiti i lavori nel dopolavoro ferroviario dove andremo stabilmente. Inoltre, sono finalmente a disposizione lo spazio del Cara (Centro d’accoglienza per richiedenti asilo) con 200 posti letti (già fruibili) e quello all’ex Cie di Via Corelli per altri 100 posti letto (fruibili tra pochi giorni), così da poter chiudere alcuni centri che abbiamo attivato in emergenza, perché noi a Milano vogliamo fare quello che non viene fatto a livello nazionale: far ruotare i centri per non gravare tropo sempre sulle stesse zone. Infatti, avere un centro d’accoglienza in un quartiere è sempre qualcosa di complesso.
Per quanto riguarda Sos Stazione Centrale?
Ci hanno dato massima disponibilità e abbiamo in mente di utilizzare anche gli spazi di Centro Aiuto Stazione Centrale di via Ferrante Aporti, nelle strutture che il Comune di Milano utilizza di solito per i senza tetto.
In queste strutture sarà possibile dormire?
Assolutamente no. Questi sono centri destinati alla prima accoglienza e alla registrazione dei profughi. Per intenderci qui possono mangiare e fare giocare i bambini. Per la sera ci sono delle strutture dotate di posti letto e per adesso riusciamo ancora ad organizzarci così.
Negli ultimi giorni a quante persone avete dato da dormire?
Tra i 1000 e i 1500 ogni sera. I numeri sono variabili, per 100 che partono per esempio non sappiamo quanti ne arrivano, perché non riusciamo a prevedere il meccanismo di ingresso in città. Il ministero degli Interni non ci dice nulla.
Alcuni partono e dove vanno?
Non ne abbiamo idea. Non sappiamo neppure se riescano a superare il confine visto quello che i giornali e la tv ci raccontano.
Le soluzioni che ci ha elencato sono soluzioni di breve periodo, sul lungo periodo avete ricevuto istruzioni dal governo piuttosto che dall’Europa?
Il confronto tra gli Stati europei è ancora accesissimo, speriamo ne venga fuori qualcosa di buono. Per quanto riguarda l’Italia non esiste un coordinamento nazionale, esiste però una forte volontà da parte delle istituzioni milanesi di continuare a fare il possibile.
Vi sentite abbandonati nella gestione di questa emergenza?
La generosità dei singoli cittadini e delle associazioni ci riempie di gioia, sulla posizione del governo mi sento di dire solo che forse un coordinamento potrebbe rendere più semplice il lavoro di tutti.