Il PD a Milano è chiamato a scelte difficili e non può permettersi di sbagliare. Se la scelta di un proprio candidato, non necessariamente un iscritto al partito, fosse bocciata da “primarie di coalizione” aperte al voto di tutti i cittadini elettori la sconfitta (perseverare diabolicum) lascerebbe ferite profonde nell’identità di un partito che fatica a consolidare leaderships sul “modello renziano”.
La realtà politica milanese vede una tradizionale presenza della sinistra radicale che, pur essendo una minoranza, esprime una forte capacità di iniziativa fondata su una attiva militanza di vecchio stampo. Il PCI all’ombra della Madonnina, pur con le sue connotazioni riformiste, non è mai stato un partito egemone ed ha raggiunto i suoi risultati migliori nelle alleanze al Comune con i socialisti. Ma uno schieramento costruito tra gli oppositori “irriducibili” interni di Renzi e quella galassia che comprende sinistra massimalista e gruppo “arancione” raccolto attorno a Pisapia, non è certo da sottovalutare.
La sfida del gruppo dirigente del PD deve unire la ricerca di un proprio candidato adeguato ad una realtà moderna e complessa come quella milanese, dove la ricchezza si sviluppa accanto ad un forte disagio sociale, con un progetto di governo credibile agli occhi di un’opinione pubblica moderata ma non conservatrice e sia convincente anche per quell’area che si colloca esplicitamente a sinistra ma rifiuta sterili atteggiamenti antagonisti. Candidato e programma non sono scindibili.
Da un punto di vista logico dovrebbe venire prima il progetto e poi il candidato. Per ragioni pratiche spesso non è così. Diventa allora dirimente la scelta dell’uomo (o della donna). I gruppi dirigenti locali del PD hanno confermato, di là dei dubbi espressi da Renzi, la scelta delle primarie. Le perplessità non sono però infondate anche per le esperienze recenti e passate. Del resto candidati scelti direttamente dal partito hanno ottenuto risultati lusinghieri in realtà importanti. Una via di mezzo sarebbe quella di primarie aperte agli elettori del partito, ma questo escluderebbe le “primarie di coalizione” che invece richiederebbero al PD di esprimere una candidatura forte di un’ampia e preventiva condivisione per non correre il rischio di amare sorprese. Ma il PD ha tempo per riflettere e può dormire ancora sonni tranquilli. Le improvvisazioni del centro-destra nella indicazioni dei candidati e l’assenza di un progetto di governo per la città di Milano costituiscono, allo stato delle cose, forti elementi di debolezza.
L’incertezza della “discesa in campo” di Matteo Salvini (l’avversario preferito dal centro-sinistra) la dice lunga sulla difficoltà e sui rischi di ”metterci la faccia”. Non bisogna dimenticare che Milano è una città solidale e aperta al cambiamento ma diffida delle formule astratte e dei piagnistei e guarda al riconoscimento del merito e alla competitività delle imprese come il vero motore della crescita economica e dell’aumento dei posti di lavoro.