Neppure oggi il governo ha chiarito i “motivi tecnici” che “per forza” (i virgolettati sono del premier Matteo Renzi) inducono l’esecutivo a rottamare i vertici attuali della Cassa depositi e prestiti. L’attuale presidente Franco Bassanini e l’ad, Giovanni Gorno Tempini, scadono infatti fra circa un anno. Bassanini ha già rimarcato più volte che non fa affatto resistenza e non ha interessi personali da difendere. Mentre in caso di maxi buonuscita per Gorno Tempini non si esclude un danno erariale per lo Stato; ipotesi che la Corte dei Conti potrebbe approfondire. Una eventualità non ben ponderata dagli esperti giuridici e legislativi di Palazzo Chigi, si borbotta in ambienti governativi.
Il risultato è questo comunicato della presidenza del Consiglio con cui il premier Matteo Renzi annuncia l’accordo governo-fondazioni per portare alla presidenza di Cdp al posto di Bassanini il banchiere ex Goldman Sachs, Claudio Costamagna. Obiettivo? “Il rafforzamento del ruolo di Cdp”, mette per iscritto il premier, nel silenzio (sintomo di atarassia o di conclamata ininfluenza?) del ministero dell’Economia, che detiene l’80% della Cassa depositi e prestiti.
Eppure i “motivi tecnici” renziani possono essere rintracciati nelle odierne dichiarazioni del consigliere renziano Andrea Guerra. Ma andiamo con ordine.
LA POSIZIONE DI BASSANINI
Se dunque Bassanini non ha opposto resistenza, come ha ribadito proprio oggi a Lucca nel corso del convegno dell’Acri (“non sono mai stato il problema“), per le fondazioni bancarie che finora esprimevano il presidente lo smacco per la frenesia renziana di indicare sia il presidente (Costamagna) che l’amministratore delegato (Fabio Gallia, ad di Bnl-Bnp Paribas?) è comunque evidente. Bassanini, comunque, collaborerà alla presidenza del Consiglio come “consigliere speciale” con “compito di predisporre analisi, proposte e soluzioni su specifici problemi, continuando a dare il suo contributo alla realizzazione del Piano Banda Ultralarga”.
LE FONDAZIONI DISCUTONO
Da ambienti delle fondazioni trapelano – oltre che qualche tensioni fra le piccole, più sbuffanti verso il forcing renziano, e le grandi, più dialoganti se non accomodanti – alcune richieste che sarebbero state avanzate all’esecutivo come una sorta di “risarcimento”: garanzie sui dividendi del 2015 (in linea con quelli del 2014) e su investimenti, e magari una vicepresidenza. La garanzia sui dividendi è stata certificata dal comunicato di Palazzo Chigi in cui si legge: “I soci di CDP chiederanno alla società una politica dividendi nel 2015 simile a quella del 2014”.
GARANZIE E INCOGNITE
Le garanzie sui dividendi si configurerebbero di fatto come una sorta di diritti speciali, rimarca un esperto di governance che sta seguendo indirettamente il dossier. Diritti speciali che contrasterebbe con il profilo di market unit che la Cassa depositi e prestiti. Infatti, come ricordato negli scorsi giorni dopo un editoriale di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera (l’economista con la solita sicumera ha affermato che grazie alla presenza delle fondazioni bancarie nell’azionariato della Cdp la cassa non è considerata nel perimetro della pubblica amministrazione), la Cassa depositi e prestiti non fa parte della PA perché i ricavi propri sono superiori al 50 per cento dei costi.
EUROSTAT SCRUTA
Per questo la prospettiva di un ruolo più pervasivo dello Stato nell’azione della Cassa potrebbe metter a rischio il profilo di mercato di Cdp, come si scriveva giorni fa. Oggi Il quotidiano Repubblica, in un articolo di Alberto D’Argenio, svela che Eurostat inizia a seguire la vicenda di Cdp proprio per i riflessi anche di contabilità pubblica che potrebbero avere: “Eurostat – ha scritto Repubblica – considera che la Cassa corra rischi se con il cambio di management annunciato da Renzi diventerà lo strumento della politica industriale di Palazzo Chigi. A quel punto la Cdp, partecipata all’80% dal Tesoro, potrebbe perdere lo status di istituzione finanziaria esterna alla Pubblica amministrazione i cui bilanci non impattano sul deficit e sul debito nazionale”. Con una Cdp nella PA, lo stock di risparmio postale gestito dalla Cassa sarebbe considerato a tutti gli effetti debito pubblico. Fantafinanza? Si spera. Di sicuro non sono discussioni troppo campate in aria, visto che di questo si parla da giorni anche in ambienti tecnici del dicastero di via Venti Settembre.
LA QUESTIONE TELECOM
Nel frattempo una dichiarazione di oggi del presidente di Telecom, Giuseppe Recchi, è stata interpretata come una non contrarietà dei vertici del gruppo all’ipotesi che la Cassa possa entrare nell’azionariato dell’ex monopolista. Tutti gli azionisti che portano valore aggiunto sono benvenuti in Telecom Italia, che potrebbe essere acquistata anche da un soggetto pubblico come Cdp, secondo il presidente Recchi: “I capitali non hanno passaporto. Tutti gli azionisti sono benvenuti se portano valore aggiunto e sinergia”, ha detto Recchi a SkyTg24 rispondendo a una domanda sulla salita di Vivendi nel capitale del gruppo di tlc.
LE PAROLE (EMBLEMATICHE) DI GUERRA
Le ipotesi che dietro al cambio di passo del governo ci sia il progetto di prendere il controllo di Telecom, vengono bollate dal consigliere renziano Andrea Guerra come “una fantasia”: “Veda – argomenta a Radiocor – dire che uno cambia le cose perché deve fare quell’investimento lì non è vero, perchè non corrisponde all’ordine del giorno”. Poi, la Cassa ha e può avere per Statuto “degli investimenti in aziende strategiche”. Si comincerà da Telecom, quindi, a delineare quella nuova è più incisiva politica industriale della Cdp quasi prefigurata ieri da Guzzetti?
Guerra – che per la prima volta ha parlato apertamente di Cdp – dice che nulla cambierà, ma in verità dice anche altro: “La Cassa – ha osservato Guerra – ha avuto un ruolo fondamentale fino ad oggi, ha ottenuto risultati importanti. Ha ottenuto una buona redditività, è stata gestita in modo manageriale. Non c’è un desiderio di cambiare la missione della Cassa. Punto e basta”. Poi l’ex ad di Luxottica mostra di aver studiato ben bene conti e prospettive della Cassa, come si racconta da tempo. E la Cdp a guida Gorno Tempini non lo convince molto, forse perché considerata troppo flemmatica e conservativa. Attenzione alle parole di Guerra: “È ovvio che, vista la situazione dei tassi complessiva, è importante che la Cassa abbia un nuovo progetto, un nuovo programma all’interno della sua missione, del suo Statuto con più proattività, incisività e in un orizzonte di lungo periodo”. E se bisogna cambiare, spiega Guerra, è per far sì che si riesca a mantenere una forte stabilità patrimoniale e una ottima efficienza operativa. Parole che agli addetti ai lavori paiono sulla scia di una approfondita disamina svolta nei giorni scorsi dal Corriere della Sera su come in un periodo di tassi bassi la prospettiva finanziaria e reddituale della Cassa non sia troppo esaltante, visto il calo progressivo dei margini sulla gestione di risparmio. Dunque si cambia. Ma per fare cosa?
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