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L’acqua calda di Susanna Camusso

“Divisi perdiamo”, ha scritto Susanna Camusso ai segretari di Cisl e Uil. Non è mai troppo tardi, anche per scoprire l’acqua calda. Tanto più che fino a ieri la Cgil sembrava pensarla esattamente all’opposto, visto il suo lungo quanto sterile “splendido isolamento” (rotto di recente solo da qualche alleanza tattica con la confederazione di Carmelo Barbagallo).

Non si esce dall’angolo, tuttavia, predicando bene e razzolando male. Una lettera, come una rondine, non fa primavera. Il sindacato italiano, infatti, dovrebbe fare un bagno di umiltà, aprendo un confronto a tutto campo sulle ragioni più profonde delle sue molteplici divergenze. A mio avviso, esse non sono riconducibili alla vecchia contrapposizione tra cultura del conflitto e cultura della partecipazione, come spesso si ripete stancamente.

La verità è che da almeno un decennio il sindacato è stretto nella morsa del bipolarismo, che in qualche misura ne ha compromesso l’autonomia, che ha subito torsioni ricorrenti. Da un lato, il suo ruolo rappresentativo degli interessi dei salariati e dei pensionati è stato declinato in termini corporativi, nel tentativo di occupare gli spazi residuali di una concertazione sempre più asfittica. Dall’altro lato, è stato declinato in termini movimentisti, nel tentativo di spalleggiare la costruzione di un’alternativa di governo. Ambedue le tendenze si sono intensificate nel corso della recessione, che ha spinto le sigle confederali a presidiare con energia i rispettivi insediamenti sociali, non rinunciando a coltivare intese (Cisl) o inasprendo la polemica con Palazzo Chigi (Cgil).

I contrasti odierni, dunque, hanno radici profonde. Paradossalmente, sembrano averlo capito meglio della Camusso il suo principale interlocutore esterno (Anna Maria Furlan) e il suo principale rivale interno (Maurizio Landini). Ci vuole meno ideologia e più pragmatismo, le ha risposto la leader di Via Po. Ci vuole meno burocratismo e più democrazia, le ha replicato il segretario della Fiom.

Traduzione: la condizione dei sindacalisti nell’Italia di Renzi ricorda quella dei meteci, i residenti stranieri nelle città dell’antica Grecia. Erano una sorta di cittadini dimezzati, liberi di commerciare ma senza diritto di voto nella polis. Per scongiurare che un sindacato litigioso venga definitivamente relegato in una enclave periferica del sistema politico, non c’è allora che una strada.

La strada è quella di riannodare coraggiosamente i fili di un discorso unitario senza giocare in difesa e senza chiedere abiure a nessuno, ma con una decisa correzione strategica sulle regole della democrazia sindacale (qui Landini ha ragioni da vendere) e sulle regole contrattuali (qui Furlan ha crediti da riscuotere). Sono due condizioni imprescindibili per rendere credibile la prospettiva di un nuovo sindacato unitario.

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