Mentre le cronache si concentrano sulle disavventure economiche della piccola Grecia, un’altra preoccupazione, ben più grande, si fa strada tra gli analisti finanziari: è la Cina il vero pericolo per la stabilità dell’economia mondiale?
GIGANTE D’ARGILLA?
Sono in molti a sollevare il dubbio che Pechino sia un gigante d’argilla, proprio nei giorni in cui la People’s bank of China, cioè la Banca centrale della Repubblica Popolare Cinese, ha aumentato la propria presenza in Italia entrando nel capitale di due delle principali banche del Paese: Unicredit (2,005%) e Monte dei Paschi di Siena (2,010%), per un investimento di circa 770 milioni di euro.
GLI INVESTIMENTI IN ITALIA
Le operazioni, realizzate il 29 e 30 giugno, ma comunicate alla Consob solo ieri, seguono le altre 10 incursioni portate a segno in altre società quotate a Piazza Affari, come Generali, Eni, Enel, Prysmian, Mediobanca, Intesa San Paolo Fiat e Telecom. Sommandoli tutti, gli investimenti cinesi nella Borsa Italiana salgono a oltre 5 miliardi di euro.
Ecco perché, tanto a Palazzo Chigi quanto a Piazza Affari – senza dimenticare Washington e Bruxelles – si guarda con estrema attenzione a ciò che accade oltre Muraglia.
LA BOLLA FINANZIARIA
“I segni della bolla finanziaria della Cina – sottolinea il russo Sputnik – sono simili a quelli registrati negli Stati Uniti nel 2008 alla vigilia della crisi dei mutui subprime”. Le autorità di Pechino, analizza il media governativo di Mosca, “non si sono rassegnate al fatto che, dopo diversi anni di crescita costante a doppia cifra, l’economia ha cominciato a rallentare l’anno scorso”. La Banca Popolare di Cina, proprio quella che sta investendo nella Penisola, “l’anno scorso ha cominciato a stimolare la crescita economica facendo leva sul credito e immettendo liquidità. Tuttavia “tutte queste misure da un lato hanno accresciuto le preoccupazioni per l’esplosione di una bolla del credito in Cina. Dall’altra parte hanno contribuito alla nascita di una bolla nel mercato azionario. In qualsiasi momento una di queste bolle può scoppiare”.
I SEGNALI DELLA CRISI
Per esempio, prosegue il sito russo, “il segno di una bolla nel mercato del credito è la crescita dei prestiti in misura maggiore rispetto alla crescita del Pil. Quando i prestiti crescono del 15-20% contro una crescita dell’economia reale del 7%, allora si può parlare di bolla del credito”. Questa situazione si osserva ora in Cina.
POCHI SOLDI ALLE IMPRESE
Non solo. “Le banche cinesi investono la maggior parte delle loro attività non nell’economia reale (prestiti alle imprese), ma nel mercato azionario”. Tutto ciò ha agevolato una bolla nel mercato azionario.
“Il crollo nella seconda metà di giugno è avvenuto dopo che la Banca Popolare di Cina, senza spiegazioni, ha ritirato liquidità dal sistema finanziario del Paese. Ma ciò che è stato fatto per calmare il mercato azionario “in fermento” è stato interpretato dagli investitori come una mossa che avrebbe portato alla fine di una politica monetaria espansiva. E ciò ha immediatamente provocato il crollo delle azioni cinesi, ancora in corso.
Sui mercati della Repubblica Popolare, rileva Reuters, cresce il nervosismo. In tre settimane i listini di Shanghai e Shenzhen hanno perso il 30% del loro valore, decine di società hanno sospeso processo di quotazione e oltre 2mila miliardi di euro, l’equivalente di 10 volte il Pil greco sono passati in altre mani.
LE PREOCCUPAZIONI OCCIDENTALI
Ma perché ciò che accade a Pechino preoccupa così tanto l’Occidente? Il motivo è semplice. La Cina – ricorda la Cnn – è il secondo partner commerciale sia per l’Europa sia per gli Stati Uniti. E un contagio “cinese” avrebbe ripercussioni neanche lontanamente paragonabili a quello greco.
Gli economisti della Royal Bank of Scotland, riassume il sito della tv Usa – la scorsa settimana hanno twittato un grafico che mostrava come le banche statunitensi siano esposte in Cina per un ammontare quasi dieci volte superiore a quello in Grecia. Senza dimenticare che Pechino è anche un Paese produttore, consumatore di merci di massa e materie prime. Ecco perché se la Cina dovesse crollare, rimarcano gli esperti, il suo tonfo farebbe tremare l’intero Occidente.