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Perché la crisi greca rivela l’incompiutezza del disegno europeo

Il dibattito sul significato della larga vittoria del ‘no’ nel referendum greco sta ponendo sempre più in evidenza una questione di fondo che riguarda anche il futuro dell’Italia: cercare una qualche soluzione per l’emergenza o andare oltre?

L’emergenza si caratterizza infatti per il tentativo di dar vita a un qualche intervento europeo che è stato persino definito “intervento umanitario”, quasi a ritenere che la questione di fondo è quella di ridurre le sofferenze collettive e individuali dei greci, a partire dalle sofferenze dell’infanzia.
Non si tratta con tutta evidenza di questioni prive di significato, sol che si consideri che l’intervento umanitario è pur sempre necessario di fronte a sofferenze ritenute intollerabili.

Ma l’Europa di oggi è chiamata a un compito che va molto oltre l’euro per come questo è stato costruito e vissuto fino a ora.
Siamo infatti in presenza di una prima e vera crisi europea continentale successiva alla caduta del muro di Berlino (nel 1989) e soprattutto alla fine dell’Unione Sovietica (nel 1991).

È da allora infatti che l’Europa si dibatte, dopo aver ritenuto che la soluzione adottata per l’euro potesse rappresentare per così dire la conclusione dell’intero processo europeistico e non anche – come invece il referendum greco ci sta aiutando a comprendere – solo una tappa verso un obiettivo ancora più ambizioso: una vera e propria costruzione federale dell’attuale Unione europea.

Non si tratta pertanto di un processo costituente che abbia l’obiettivo di assicurare il rispetto delle regole attuali del funzionamento dell’euro, soprattutto se consideriamo che si è consentito e si consente a molti Paesi – a partire dalla Gran Bretagna – di essere allo stesso tempo soggetti componenti dell’Unione ma non anche dell’Eurozona.

Questa distinzione fra Eurozona e Stati nazionali, pur appartenenti all’Unione europea, è la distinzione che viene posta in discussione anche e soprattutto dal referendum greco.
Abbiamo infatti letto che i Greci sono largamente favorevoli all’integrazione europea, ma al tempo stesso contrari alle modalità con le quali è stata sino a ora condotta, da parte europea – prevalentemente da parte tedesca – la questione del rapporto tra riforme nazionali e appartenenza all’Eurozona.

Abbiamo forse sottovalutato il fatto che il processo di integrazione europea era stato concepito – all’indomani della Seconda Guerra Mondiale – come parte di un processo che aveva nell’integrazione militare (la mai sufficientemente rimpianta Comunità Europea della Difesa) il proprio punto di partenza, e che pertanto avrebbe dovuto finire con l’avere anche una qualche comune visione di politica estera.

Scelta liberal-democratica per quel che riguarda i principi fondativi della democrazia di tipo francese-britannico-statunitense. Come era del tutto naturale all’indomani di una Guerra Mondiale che aveva visto queste tre grandi potenze occidentali condividere proprio i principi della liberal-democrazia, a differenza di quel che avveniva in Unione Sovietica, dove la democrazia politica aveva assunto le caratteristiche del primato proprio dell’economia socialista sulla libertà di manifestazione del pensiero e di associazione in partiti politici, anche profondamente diversi gli uni dagli altri.

Quel processo di integrazione europea ha avuto un punto strategico di mutamento proprio all’origine dell’euro come sa chiunque abbia riflettuto, e rifletta, sul Trattato di Maastricht che, nel 1991, aveva visto nella nascita dell’euro un fatto molto significativo di avanzamento del processo medesimo di integrazione.
Ma da quel momento il processo di integrazione europea si è venuto saldando con due fatti di straordinario rilievo: l’unificazione tedesca da un lato, e la fine dell’Unione Sovietica dall’altro.

Siamo da allora in attesa di sciogliere un nodo europeo anche istituzionale: ci fermiamo all’euro così come esso è stato costruito a Maastricht, o andiamo oltre?
Regrediamo verso forme di nazionalismo incompatibili proprio con l’appartenenza all’Unione europea, o proseguiamo nel cammino di costruzione dell’integrazione medesima dimostrando di saper andare oltre la pura e semplice dimensione economica per costruire qualcosa che vada oltre un semplice abbozzo di politica estera europea comune?

Il contesto attuale della globalizzazione sta infatti ponendo sempre più in evidenza il fatto che non si possono scindere le questioni economiche da quelle cosiddette “di geopolitica” e il Califfato di al-Baghdadi ci dice anche che non si può scindere la politica estera dalla politica economica e da quella militare.
Queste sono le sfide complessive che il referendum greco ci sta ponendo di fronte, e occorre augurarsi che il prossimo vertice dei 28 Paesi dell’Unione sappia proprio non limitarsi alla pura emergenza.


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