Quando si parla della crisi greca, sembra che l’Atlantico si allarghi di colpo e che Washington e Bruxelles abbiano idee opposte. Mentre in Europa, a fronte del No al referendum di domenica scorsa, si fa largo infatti l’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro, negli Usa è stato il presidente Barack Obama in persona a intervenire, spiegando che la “Grexit non è un’opzione”.
Da cosa deriva questa presa di posizione della Casa Bianca? E quali sono i rischi economici e geopolitici di un’uscita della Grecia dall’euro, visti da oltreoceano?
Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con Massimo Teodori, storico, scrittore e componente del board del Centro Studi Americani di Roma presieduto da Gianni De Gennaro, mentre il Segretario del Tesoro americano Jacob Lew e la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde chiedono ai leader europei di concedere una riduzione del debito evitando l’uscita della Grecia dall’Eurozona.
Barack Obama ha detto che la “Grexit non è un’opzione”. Perché?
Tutta la storia della Grecia e dell’Europa non può essere ridotta ad un’unica cifra di carattere economico. Siamo piuttosto di fronte a un problema di sistema internazionale. È un tema politico che ha a che fare con l’architettura stessa dell’Unione europea e dell’Eurozona. Quello che viviamo è un momento decisivo per comprendere se questa struttura resterà in piedi o no, ovvero se l’adesione a questa famiglia sia negoziabile o meno per i vertici europei. Se la Grecia uscisse, questo schema salterebbe.
Come mai l’unità europea e i destini di Atene stanno così a cuore a Washington?
La Grecia, oggi come nel ’45-’46, è un pezzo importante del quadro occidentale e continentale. È inoltre un membro della Nato e facilitarne l’uscita dall’Unione europea significa indebolire uno degli elementi di equilibrio internazionale, con effetti a cascata.
Quali effetti produrrebbe un’uscita della Grecia dall’orbita di Bruxelles?
Tralasciando per un momento le ripercussioni economiche, quando Obama fa di tutto perché Atene resti nell’Ue ha in mente soprattutto il fatto che Bruxelles può giocare un ruolo da protagonista solo se unita. E in questo momento gli Usa hanno bisogno di un alleato forte in tanti dossier, dalla Russia agli eventi mediorientali, soprattutto ora che un altro pilastro dell’Alleanza Atlantica, la Turchia, sposa una linea ambigua.
Non sono in pochi a credere che una volta fuori dall’Eurozona o nel peggiore dei casi dall’Ue, la Grecia potrebbe cedere alle lusinghe di Cina e Russia. Lei cosa pensa?
È un rischio concreto. D’altronde, se me messa alle strette e senza un accordo sul debito, Atene dovrà usare tutte le carte a sua disposizione per salvarsi. E non è un segreto che Pechino cerchi punti d’appoggio commerciali in Europa e che Mosca usi la leva dell’energia per indebolire la linea occidentale in Ucraina.
Da oltreoceano è giunta anche una critica severa al rigore di stampo tedesco, che secondo Ian Bremmer è la causa stessa del perdurante tracollo economico greco, perché di fatto renderebbe insostenibile il debito.
Va ricordato che nella storia degli Usa, la grande crisi del ’29 o anche quella del 2008, per avere un riferimento più recente, sono state superate con una strategia opposta a quella dell’austerità: stampando moneta. Quello americano è un atteggiamento pragmatico, che affianca a un mercato libero alcune fasi di interventismo pubblico. L’obiettivo per Washington è la crescita, non il pareggio di bilancio, cosa che noi abbiamo addirittura inserito in Costituzione.
Eppure, in un’intervista pubblicata ieri dal Giornale, un liberale come l’economista ed ex ministro Antonio Martino ha detto che “Atene va lasciata fallire, come fanno negli Usa”.
Non è congruo confrontare due sistemi così diversi. Ma Martino, che è senza dubbio un liberale, in questo caso deve aver confuso “liberale” con “liberista”. Una ricetta che in questo caso non funzionerebbe.