C’è forse un abuso dei meccanismi di funzionamento dei mercati azionari che rende poco credibile la finanza cinese? L’andamento altalenante della Borsa di Shanghai ha acceso l’attenzione degli analisti, che da tempo seguono cause ed effetti della cosiddetta “bolla” d’oltre Muraglia, rilevando non poche anomalie.
I MILIARDI IN FUMO
Dopo il +5,8% di ieri, l’indice dello Shanghai Stock Exchange ha fatto segnare stamattina un +5,16%. Si tratta senza dubbio di segni di recupero, sottolinea Bloomberg, dopo il crollo di mercoledì che ha portato “i listini a bruciare oltre 3500 miliardi di dollari”.
OMBRE CINESI
Nel gigante asiatico, sottolinea Quentin Webb su Reuters, sta accadendo qualcosa di unico, che non ha avuto eguali in nessun altro Stato moderno (o presunto tale). “Dall’8 luglio – scrive l’editorialista – il totale delle sospensioni è arrivato a circa 1300”, che equivale al 45% del totale dei titoli quotati alla borsa cinese. Un’ecatombe, provocata “da un abuso delle regole del mercato azionario” con una strategia che danneggia più i singoli investitori che le istituzioni, il che rende ancora più “difficile per gli stranieri prendere sul serio le azioni cinesi”. “Che cos’è un mercato – si chiede infatti Webb – senza la possibilità di impostare i prezzi o il commercio?” Le imprese “sembrano aver qualcosa da nascondere”, conclude l’analisi, ma anche il governo ci ha messo del suo.
I TENTATIVI DELLE AUTORITÀ
Per Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr, “le autorità appaiono determinate a contrastare fermamente ulteriori crolli. Il Governo, la Banca centrale cinese e il regulator – osserva Sersale – non devono sottostare ai paletti delle loro controparti occidentali, ma godono di ampia libertà d’azione e la useranno. La preoccupazione è un’altra, ovvero che nel tentativo di sostenere livelli di prezzo gonfiati, ne abusino. Ma probabilmente le autorità si accontenteranno di ridurre la volatilità senza tornare causare un ascesa simile a quella osservata negli scorsi mesi”.
LA VITTORIA DEI MERCATI
Gli esperti, però, si chiedono anche se queste ingerenze da parte di Pechino conducano poi a risultati concreti. Pochi e sempre di meno, secondo il manager Alberto Forchielli – socio fondatore di Mandarin Capital Partners, il più grande fondo di private equity sino-europeo – che intravede in questo tira e molla tra mercati e Partito Comunista “la prima vera vittoria della finanza sul governo”, nonché ” il segnale di un Paese che cambia e che diventa intrinsecamente capitalista e mette il denaro in cima alle proprie priorità”.
PIÙ TRADER, MENO TESSERE
Una conseguenza quasi scontata per una nazione dove, ricorda Quartz, pochi giorni fa gli operatori di borsa, i “trader”, hanno superato gli iscritti al Pcc, diventando novanta milioni contro gli 88 che ancora hanno nelle loro tasche la tessera del partito.