L’esplosione che ieri ha semidistrutto il consolato italiano al Cairo non era un segnale rivolto al nostro Paese, ma il risultato di una strage mancata che aveva altri obiettivi.
A crederlo è il generale Carlo Jean, professore di Studi strategici alla Luiss e alla Link Campus University di Roma.
In una conversazione con Formiche.net, l’esperto di geopolitica spiega perché, a suo parere, sono molti gli indizi che dimostrerebbero come l’attacco alla sede diplomatica sia stato probabilmente un incidente di percorso e un fallimento per i jihadisti che lo hanno condotto.
Generale, perché i jihadisti hanno attaccato il consolato italiano al Cairo?
L’attentato è ovviamente deprecabile, ma non credo che l’obiettivo fosse il nostro Paese.
Per il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni quello di ieri è stato invece “un attacco diretto all’Italia, a un Paese impegnato nel contrasto al terrorismo”.
Intendiamoci: l’Italia era e rimane un obiettivo dei terroristi, come tutti i Paesi occidentali. Insieme con l’Egitto, Roma fa parte della coalizione internazionale a guida americana che combatte l’Isis.
Si tratta di un tentativo di minare questo legame?
Non penso, anche perché tra Italia e Il Cairo i rapporti sono sempre stati ottimi, molto prima dell’ascesa del terrorismo globale. Quando Vittorio Emanuele II diede le dimissioni andò non a caso in Egitto. E anche oggi, abbiamo 130 aziende che lavorano lì con ingenti investimenti, soprattutto dell’Eni.
I jihadisti, allora, chi volevano colpire secondo lei?
Tra i terroristi di matrice islamica e il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi non corre buon sangue. Lo si è visto qualche giorno fa in Sinai. A questo vanno sommate le tensioni con i Fratelli Musulmani. Penso che l’auto fosse parcheggiata lì in attesa di scagliarsi contro un altro obiettivo, probabilmente la vicina Alta corte egiziana.
Cosa glielo fa pensare?
Innanzitutto il carico di esplosivo, 450 chili di tritolo. Un carico enorme, piazzato in una strada laterale. È esploso in un orario e una posizione atipici, troppo presto e troppo distante dal consolato. E al tempo stesso era troppo forte per essere stato assemblato per fare così poche vittime, cioè una. Doveva essere una strage, ma qualcosa è andato storto per fortuna. E questo si evince anche dal ritardo con cui poi è stato rivendicato l’attentato.
È stata davvero l’Isis, dunque, a condurre l’attacco?
Probabile che si sia trattato di qualche cellula affiliata, secondo il classico meccanismo del franchising. Ad ogni modo devono essersi resi conto di non averci fatto una bellissima figura.