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La resa di Renzi sulle intercettazioni

Scomparse rapidamente dalle prime pagine, peraltro poche, dei grandi giornali sorpresi dallo scoop del Fatto Quotidiano, si può forse già registrare l’effetto politicamente più rilevante della diffusione della chiacchierata telefonica di Matteo Renzi con il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi contro l’allora “incapace” presidente del Consiglio Enrico Letta. Ma anche delle registrazioni di un incontro conviviale fra amici dello stesso Renzi, tutte risalenti all’inizio dell’anno scorso, sulla presunta ricattabilità dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per via di altrettante presunte, e smentite, attività del figlio Giulio.

Se fosse vera l’anticipazione fornita dai soliti “fedelissimi” sulla contrarietà del capo del governo a una “stretta” della controversa disciplina delle intercettazioni, della cui modifica dovrebbe occuparsi la Camera a fine luglio nell’ambito di una riforma più generale del processo penale, assai difficilmente Renzi potrebbe sottrarsi al sospetto di essersi lasciato intimidire dalla diffusione delle confidenze sue e dei suoi amici, rispettivamente, sul predecessore a Palazzo Chigi e sul capo ora emerito dello Stato.

La diffusione di quelle confidenze è potuta avvenire proprio grazie alle maglie troppo larghe e confuse delle norme che disciplinano le intercettazioni disposte dall’autorità giudiziaria nell’ambito di inchieste per le quali ne è consentito l’uso. Intercettazioni i cui resoconti poi finiscono per mani e manine misteriose sui giornali, fra gli atti depositati, anche quando risultano agli stessi magistrati penalmente irrilevanti ai fini delle indagini, peraltro chiuse con l’archiviazione. Come è accaduto nel caso del generale Adinolfi, coinvolto a torto nelle inchieste sui controversi affari campani di una cooperativa rossa emiliana.

Appare quanto meno curioso che, pur danneggiato anche lui, com’è accaduto ad altri politici, suoi predecessori o non a Palazzo Chigi, dalla diffusione di intercettazioni che avrebbero dovuto restare riservate, riguardanti la sfera personale degli interessati e utili solo a danneggiarne l’immagine, il presidente del Consiglio sia contrario a una “stretta”, appunto, della loro disciplina. Una stretta che da tempo viene auspicata, ma assai contrastata da chi ha potuto sino ad ora trarre vantaggio mediatico e politico da fughe di notizie e quant’altro, in coincidenza a dir poco sospetta, cioè non casuale, con passaggi delicati delle carriere degli interessati e, più in generale, delle vicende istituzionali del Paese. Che, d’altronde, sono entrambe così abitualmente difficili da potersi frequentemente incrociare con le cronache giudiziarie, o pseudo-giudiziarie.

Non sarà magari vero, sarà un’altra applicazione arbitraria della famosa tesi di Giulio Andreotti secondo la quale a pensare male si fa peccato ma spesso s’indovina, ma è francamente forte la tentazione di sospettare che Renzi, pur di ostentare sicurezza e di non cadere nell’accusa di una ritorsione politica, alla fine subisca gli effetti dello scoop del Fatto Quotidiano, e di chi lo ha consentito, schierandosi contro la “stretta” sulle intercettazioni. Che rischiano pertanto di continuare ad essere gestite – come si spera in certe Procure e dintorni – nel modo assai poco commendevole sperimentato sinora fra vuote proteste ed altrettanto vuote promesse, sul fronte politico e giudiziario, di cambiare registro. Per cui la lotta politica potrà perfidamente continuare a contare sulla sponda giudiziaria, e viceversa.


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