E’ morto Elio Fiorucci. Aveva 80 anni, e per quelli della mia generazione fu un’icona dei tempi gloriosi in cui Milano andava al tempo della “Swinging London”, quella dei Beatles e di Mary Quant, ma aveva anche il gusto croccante e succoso della Big Apple, come veniva chiamata allora New York, capitale del mondo. Proprio lì dove Elio aveva avuto il coraggio – primo italiano del settore moda – di aprire un negozio. Un negozio dei suoi: pionieristico. Folle e ovviamente coloratissimo.
Per questo, ricordare Fiorucci semplicemente come uno “stilista” mi sembrerebbe riduttivo. Lui era un uomo “impastato” di sorprendente creatività, di anarchica genialità e di un irriverente gusto del bello. Personalmente, avendo avuto l’opportunità di intervistarlo più di una volta, ma soprattutto di aver fatto accanto a lui un lungo viaggio negli Stati Uniti, lo ricordo sopra ogni altra cosa come un Uomo Buono, scritto proprio così, con le iniziali maiuscole.
Aveva, in più, una voce gentile che gli permetteva di arrotare come pochi altri la “erre”, e conservava l’anima e lo sguardo di un bambino. Proprio come un bambino lasciato libero in un emporio di giocattoli, lo vidi entusiasmarsi in un robivecchi di Atlanta dove lo avevo portato, certo com’ero di fargli cosa gradita. Quel negozio vendeva cianfrusaglie di ogni genere, prive di un autentico valore, ma lo rivedo ancora mentre, immaginandoli già in vendita nel suo emporio milanese come oggetti di arredamento, rigirava tra le mani vecchie tazzine da caffè, o antidiluviani secchi in alluminio per le pulizie che lui aveva spogliato con un solo e geniale colpo d’occhio della loro originaria e più banale funzione.
Di se stesso, che come imprenditore aveva avuto senz’altro degli alti, ma anche autentici bassi, mi disse un giorno con uno di quei suoi indimenticabili sorrisi: “Io sono un uomo di idee. E basta. In un’azienda dovrebbero tenermi lontano dai numeri e dalla contabilità perché non riesco a dare il giusto valore ai soldi e su quel fronte combino inimmaginabili disastri”.