I candidati repubblicani erano già una dozzina, ex governatori, senatori e un ex senatori, un magnate e una dirigente d’azienda e un neuro-chirurgo, tutti bianchi tranne un nero e tutti uomini tranne una donna. Mancavano all’appello i governatori, che sono un asso nella manica nelle presidenziali: nelle ultime dieci elezioni, dal 1976 ad oggi, sette volte l’eletto era un ex governatore, Jimmy Carter della Georgia, Ronald Reagan (due volte) della California, Bill Clinton (due volte) dell’Arkansas e George W. Bush (due volte) del Texas. Solo il padre di Bush, George, e l’attuale presidente Barack Obama sono arrivati alla Casa Bianca, negli ultimi quarant’anni, senza mai essere stati governatori.
Poi, i governatori repubblicani sono scesi in lizza quasi quattro d’un colpo: John Kasich dell’Ohio, 63 anni, il più inatteso; Scott Walker del Wisconsin, 47 anni; Bobby Jindal della Louisiana, 44 anni; e, primo della lista in ordine di tempo, Chris Christie del New Jersey, 52 anni. Walker e Christie non saranno delle meteore nella corsa, o almeno così si prevede; Kasich e Jindal non partono né favoriti né popolari, al di fuori del loro Stato. Vediamo in breve chi sono e come si sono presentati.
CHRISTIE, LA SPERANZA OFFUSCATA
“Io intendo ciò che dico e dico ciò che intendo. È esattamente ciò di cui ha bisogno l’America”: il governatore del New Jersey punta tutto sull’immagine di politico senza peli sulla lingua, perché “Verità e decisioni difficili oggi porteranno a crescita e opportunità domani”, ha detto, annunciando la sua candidatura alla Linvingstone High School, il suo liceo. Poi, giù fendenti, contro i democratici ma anche i repubblicani. Considerato una speranza repubblicana, Christie vide le sue quotazioni calare vertiginosamente a inizio anno, dopo lo ‘scandalo del ponte’ che lo costrinse a pubbliche scuse e a licenziare la vice-capo del suo staff, Bridget Anne Kelly, che aveva tramato per danneggiare un avversario politico (il governatore era apparentemente estraneo alle mene). Ora, Christie parte in campagna con lo slogan ‘Tell it like it is’ – Di’ le cose come sono -, sostenendo che “entrambi i partiti hanno fallito nel nostro Paese” e prendendosela con i “leader litigiosi di Washington”, ma soprattutto con “l’indecisione e la debolezza della Stanza Ovale”, occupata da un presidente – Barack Obama – che vive “in un suo mondo, non nel nostro mondo”. Per non parlare della battistrada democratica, Hillary Clinton, “ufficiale in seconda di Obama”.
JINDAL, L’INDIANO (NON) D’AMERICA
I sondaggi non lo premiano: non gode d’un grande seguito nel suo Stato e non ha una grande riconoscibilità nell’Unione. Lui cerca di guadagnarsi attenzione con un linguaggio schietto e diretto e polemizzando con il favorito alla nomination, Jeb Bush. Chiosando un’affermazione di Jeb, secondo cui un candidato repubblicano doveva dimostrare coraggio, prendendosi il rischio di perdere le primarie per vincere le elezioni, Jindal afferma: “Jeb dice che dobbiamo essere in grado di perdere le primarie e di vincere le elezioni. Stiamo per aiutarlo a farlo”. Diventato nel 2007 il primo governatore di origini indiane dell’Unione, Jindal ha fama di tecnocrate: “Ne abbiamo abbastanza di chiacchieroni a Washington, è tempo per un uomo d’azione”; e vuole accreditarsi come il candidato anti-establishment, che non ha nulla a che vedere con “i politici egoisti”. Cresciuto da genitori induisti e convertitosi al cattolicesimo, Jindal ha l’appoggio dai conservatori cristiani, ma, nel tempo, ha perso credito in Lousiana. “Penso che nessuno, qui, creda che possa vincere” dice Roy Fletcher, un consulente politico repubblicano. Jindall è un sostenitore della “libertà religiosa” e del diritto di un cittadino di rifiutarsi, nell’ambito ad esempio della sua attività commerciale, di servire un omosessuale, rifiutandosi di preparare una torta nuziale.
WALKER, UN TWEET PER ERRORE
Un problema tecnico su Twitter ha anticipato l’annuncio formale della candidatura del governatore del Wisconsin: “Scott è sceso in capo. E tu? Entra oggi nella nostra squadra” diceva l’annuncio uscito, 48 ore prima del previsto, sul profilo di Walker, con sotto la sua foto e la scritta “Scott Walker corre per la presidenza. Unisciti a lui”. Il ‘cinguettio’ è stato rapidamente rimosso, ma l’effetto sorpresa per il discorso a Waukesha, sobborgo di Milwaukee, era ormai svanito. Il che nulla toglie al potenziale da protagonista di Walker nella campagna. Salito alla ribalta delle cronache per le battaglie contro il sindacato, il governatore ha seguito un copione tradizionale: introdotto sul palco dalla moglie Tonette, sulle note di “Life is a highway” di Rascal Flatts, ha reclamato l’esigenza di un outsider a Washington. “Occorre una leadership che riesca ad ottenere risultati ed io ho lottato contro i sindacati e ho vinto… Serve una leadership con idee grandi e coraggiose, come quella che abbiamo nel Wisconsin”. Predicando “la dignità che viene dal lavoro”, Walker è contrario a ogni forma di stato sociale e all’aumento della paga minima. “Washington misura il proprio successo dal numero di persone che dipendono dal governo, mentre dobbiamo fare proprio l’opposto, cioè misurare il successo da quanti non dipendono dal governo”. Walker sostiene la necessità di cancellare l’Obamacare, è a favore dell’oleodotto Keystone, è contro l’accordo sul nucleare con l’Iran. “Il mondo deve sapere che non c’é miglior amico o peggior nemico degli Stati Uniti d’America”.
KASICH CHE NON T’ASPETTI
La candidatura del governatore dell’Ohio è stata una sorpresa: “Sono qui per chiedere le vostre preghiere, il vostro supporto e i vostri sforzi perché ho deciso di correre per la presidenza”, ha detto il governatore di uno Stato spesso decisivo nella corsa alla Casa Bianca, formalizzando la sua candidatura. Kasich si presenta come un moderato, quasi un indipendente nell’affollato panorama repubblicano. Nella suo agenda, consolidamento fiscale ma anche programmi a sostegno dei più bisognosi. “Il sole sta sorgendo, ve lo assicuro: ho le capacità, ho l’esperienza e sono preparato al più importante lavoro del mondo”, ha detto, ricordando di avere pure lavorato per Ronald Reagan quando era alla Casa Bianca. Ma ripercorrerne l’ascesa gli sarà difficile.