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Tasse, perché (non) c’è da fidarsi troppo delle promesse di Renzi

La situazione dell’economia italiana è molto più complessa di quanto si volesse far credere: per tornare ai livelli di occupazione pre crisi ci vorranno vent’anni. Questa è la conclusione del Fmi: l’Italia che c’era non c’è più, e forse non tornerà mai. Le partite Iva sono evaporate, il piccolo commercio si esaurisce, la grande impresa guarda sempre più all’estero, anche se non basta l’export a cambiare le sorti.

Anche il governo pare in difficoltà: a settembre dovrà varare la legge di Stabilità, stretto tra l’esigenza di far quadrare i conti del deficit e del debito e quella di non stroncare i primi timidi accenni di ripresa. La questione fiscale rappresenta ancora il nodo cruciale: la pressione è troppo alta, scoraggia gli imprenditori. Chi può si trasferisce all’estero, oppure vende. Se non riesce, chiude. La questione del costo del lavoro, superata dopo tanto travaglio con il Job Act, ha dimostrato che il problema della disoccupazione dipende soprattutto dalla carenza della domanda interna, dalla crisi degli investimenti, privati e pubblici.

Per un imprenditore che abbia sulle spalle qualche decennio di attività, oggi è molto più semplice liquidare l’impresa, consegnare il poco o il tanto che ha accumulato al gestore di fiducia e mettere al sicuro patrimonio e rendita. Questo è il risultato di cinque anni di severità fiscale: a parità di pil nominale, nel 2015 si pagheranno ben 42 miliardi di euro di tasse in più: se la domanda latita, se nessuno ha da spendere, la ragione è solo questa.

Anche il Patto con gli Italiani, preannunciato due domeniche fa dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, con cui si dovrebbero scambiare più riforme con meno tasse, sembra strumentale rispetto alla preparazione della legge di Stabilità: non si può aspettare settembre con le mani in mano, perché la correzione da impostare sarebbe troppo forte. Si parte dai 29 miliardi in più di entrate tributarie previste a legislazione vigente nel Def, con le clausole di salvaguardia pronte a scattare se non si procede ai tagli corrispondeti di spesa.

Anche la proposta di eliminate la Tasi sulla prima casa, insieme all’Imu agricola ed a quella sugli “imbullonati”, per un importo complessivo di 5 miliardi di euro a partire dal 2016, sembra un modo per indorare la pillola. Intanto, per questa nuova misura si dovrà trovare la copertura adeguata: si parla di far diminuire da un milione a 200 mila euro la franchigia sull’asse ereditario al momento di determinare la tassa di successione. E’ una imposta patrimoniale ben più pesante, quella che ne risulterebbe: mentre da un lato si detassa annualmente solo la prima casa rispetto ad una aliquota Tasi dell’1,8 per mille, l’intero patrimonio verrebbe tassato almeno al 4%. Domenica scorsa sono cominciate a circolare le prime cifre relative alla riduzione delle “tax expenditure”: almeno 1,3 miliardi di euro di agevolazioni fiscali dovrebbero saltare.

Due giorni fa è stata la volta dei tagli alla sanità: 30 miliardi di possibili risparmi, con un obiettivo praticabile di 10 miliardi nell’arco di quattro anni, a cui sono da aggiungere altri 13 miliardi di riduzione di costi eliminando le prescrizioni di analisi ed indagini diagnostiche inappropriate. Le misure potrebbero essere introdotte subito, magari  con una serie di emendamenti ad un decreto legge in corso di conversione. Con le Regioni è già polemica: il Governatore del Veneto Zaia ha chiesto di applicare subito i costi standard, senza penalizzare ancora le realtà che si sono dimostrate più efficienti e rigorose.

L’emergenza fiscale sta annebbiando ancora una volta le idee: per rispettare gli impegni su deficit e debito, si alzerà arriverà come previsto ad un aumento della pressione fiscale: tra tagli e tasse, saranno i 29 miliardi già segnati nel Def, pari all’1,7% del pil. Visto che quest’ultimo aumenterebbe dell’1,4%, la pressione fiscale aumenterà.

Bisognava mettere ordine alle competenze di quelle che furono le province, accentrare l’organizzazione dei comuni pur lasciando intatta la loro potestà tributaria e di bilancio, riorganizzare il sistema delle aziende locali, ripensare la formazione professionale. E, soprattutto, istituire un sistema di controlli esterni preventivi sugli atti amministrativi. C’era bisogno di rendere automatiche le procedure, standardizzando comportamenti e prassi, adottando le migliori piattaforme già esistenti, senza inventare nulla e perdere tempo per ricominciare da capo.

Settembre si avvicina: insieme alla vendemmia, altre tasse su una economia sempre più ingobbita.



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