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Perché l’Ue non è (ancora) un gigante politico

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

L’Europa sta segnalando molte cose, e tutte negative, agli attori strategici globali: che viene messa in crisi dall’annoso e ben noto problema del default greco, che doveva essere risolto, ed era pur facile, almeno tre anni fa.
Il 2% del PIL UE che mette in crisi il resto farà, immagino, ridere le grandi aziende finanziarie globali, certamente gli USA, e farà sicuramente alzare il sopracciglio ai dirigenti della finanza globale di Pechino.
Una intera penisola, quella eurasiatica, segnala con assoluta chiarezza quindi, a chi può capirlo, che è debole e si sta disponendo, a pezzi e bocconi, a offrirsi al miglior offerente.

Che non ci sarà, accadrà solamente il classico rapporto, ben descritto da Konrad Lorenz, tra cacciatore e preda.
Se non sei buono a risolvere i problemi del tuo 2%, come pensi che crediamo alla tua impermeabilità agli shock asimmetrici prossimi venturi, di ben maggiore entità, o che altri Paesi della UE a 29, anch’essi in crisi, non vogliano lasciare l’Euro e quindi non diventino preda della grande geofinanza?
Se non si è capaci nemmeno di capire quanto e come vi sia un linkage tra la crisi di Atene e la penetrabilità, in una fase critica, dei nostri confini NATO del Mediterraneo orientale, in un contesto in cui, mandata via la “moneta cattiva” greca, si faranno avanti i cinesi, i russi, gli israeliani, a raccogliere l’area greca, e allora davvero la pericolosa mentalità cechoviana dei contabili metterà in crisi l’assetto strategico europeo.

Ma che cos’è l’Europa, oggi, in una prospettiva di Previsione Decennale degli equilibri e delle loro determinanti primarie?
L’UE è, come la Germania prima dell’unificazione, un nano politico e un gigante economico.
Per andare avanti bene, dovrebbe accadere il contrario.
La linea del Trattato di Maastricht del gennaio 1992 era, ed è, quella di un rigore finanziario tramite il quale si generano capitali per la crescita, e qui viene in mente il papà banchiere di Mary Poppins, che faceva sognare la sua bambina mostrando come una monetina si moltiplicava, a furia di interessi composti, fino a diventare un colossale capitale.

I capitali si generano acchiappandoli, e già allora, nel 1992, la globalizzazione Numero Uno, quella della Finanza, poteva essere utile al riguardo.
Prima ancora, era avvenuta la mondializzazione della finanza illecita, base e strumento della circolazione mondiale dei capitali “bianchi”.
In sostanza, la Germania, con le riforme dell’era Schroeder, si manda avanti col lavoro e predispone abbattimenti, fin dal 1997, delle imposte sulle imprese, mentre i salari si abbassano più dei concorrenti-alleati della UE e, soprattutto, in quegli anni Berlino crea una inflazione netta ben più bassa dei nuovi confratelli futuri dell’Euro, che la renderà imbattibile in un contesto di economie sovrapponibili e tutte export-driven come quelle della UE che sta entrando nelle spire dell’Euro.

Il futuro della UE sarà quello della sua moneta unica, che peraltro era l’unico modo di affrontare i marosi dei mercati finanziari globali, all’epoca.
L’Euro reggerà, in prima istanza, se diventerà una moneta credibile nelle transazioni internazionali. Attualmente la BCE ci dice che la moneta unica europea è cresciuta, come parte dei capitali globali, fino al 30%, con un aumento del 9% delle disclosure in Euro dei due anni precedenti a questa caldissima estate.

Il resto è, per il 67%, in dollari USA e il rimanente nelle altre monete minori, con un ruolo speciale, ancora, per il Franco Svizzero. Dove credono di andare i dirigenti UE con questa percentuale così piccola degli scambi, che mostra come nemmeno tutte le transazioni generate in UE siano in Euro? Come sanno benissimo gli americani, è l’uso del dollaro che produce il rayonnement statunitense, con l’aggravante che Washington è debitrice netta.
E’ il biglietto verde la vera “arma assoluta” degli americani, e noi, in Europa, dovremmo, visto peraltro che l’Euro si è deprezzato del 12% circa in due anni, dovremmo creare un’area globale della moneta unica UE delineando quindi le nostre sfere di influenza europee, beninteso, e solo marginalmente nazionali.

L’UE è, geograficamente e politicamente, il pivot della modernizzazione dell’Asia centrale: la continuità della Via della Seta porta l’Unione a arrivare con assoluta continuità nella grande pianura eurasiatica, lo Hearthland di Mackinder.
E quindi, a “dominare gli oceani mondiali”, come diceva il geopolitico britannico.
Gli USA sono stati espulsi, usiamo le parole adatte, dall’Afghanistan che non hanno, e noi insieme a loro, né pacificato né, tanto meno, modernizzato.

L’area islamista centrale, dove sorsero prima del jihad orientale l’impero greco di Alessandro e quello Maurya, è area riservata, per contraltare al nucleare indiano, del potenziale militare e demografico pakistano.
Se non si risolve questo, non ci saranno eserciti tanto numerosi da “portare la democrazia” in Afghanistan.
L’Europa, con il suo soft power può penetrare l’area, ricchissima di materia prime, solo in correlazione con il Pakistan e il suo grande storico alleato, la Cina.

La Federazione Russa si terrà le aree di confine con le sue vecchie repubbliche centrali. L’UE, poi, superando i provincialismi e i regionalismi, può gestire un nuovo rapporto con il Giappone, che è alla ricerca di un suo futuro dopo il passato di guardiano USA nel Pacifico, controllare peraltro di una Cina che è il maggiore concorrente-alleato di Washington a livello globale. L’India si creerà una identità geoeconomica di power broker dei mari mondiali, sempre per usare la terminologia di Mackinder. E riprenderà la sua posizione di mediatore globale dei commerci mondiali, con una produzione interna che sostituirà rapidamente quella cinese nel momento in cui Pechino aggiorna con un upgrade tecnologico la sua offerta di beni e servizi.

Il boom economico dell’America Latina è ormai un ricordo, visto che si basava sul “petrolio vegetale” con alte tariffe e sulla crescita, ormai finita, dei prezzi delle materie prime non oil. Ci sembra qui di rileggere quel piccolo capolavoro che fu, scritto dall’indimenticabile Eduardo Galeano, Las venas abiertas de América Latina. Un subcontinente che produce le materie prime che altri trattano, e in monete diverse dalle loro. Regionalizzare una moneta vuol dire marginalizzare l’economia che si denomina in essa.

Gli USA non ce lo lasceranno mai, lo hanno ereditato, nel conto profitti e perdite della Seconda Guerra Mondiale, dalla Gran Bretagna, e non faranno giocare alcun bambino europeo in quel cortile, salvo piccole operazioni che non modificano i cicli economici. L’Unione, che dovrà avere una logica militare e strategica meno arcaica, dovrà pensare meno all’economia e più alla strategia. Meno chiacchiere sull’acquis européen, programmi più aggressivi e razionali per creare, nel Maghreb, un’area che non dovrebbe essere lasciata a sé stessa, anche dal punto di vista militare e strategico; e penso ad una “Unione Euro-Mediterranea”, con successi sperabilmente maggiori di quella Union pour la Mèditerranée di Sarkozy che è stata lettera morta e troppi stipendi inutili.

L’UE non deve “farsi piccola”, come consigliava San Paolo, ma giocare tutto il suo peso in aree e azioni che creano il grande mercato allargato di cui abbiamo assoluto e impellente bisogno. E qui arriva la questione dell’immigrazione. I calcoli sono difficili, in questi contesti imprevedibili e di colossali dimensioni ma, a parte valutazioni di tipo culturale, religioso, umanitario, se la quota di immigrati rimane fissa, la percentuale di avvicinamento del tracollo fiscale dei nostri Stati mediterranei si avvicina del 35% l’anno.

Ovvero, rebus sic stantibus, se gli sbarchi e i costi unitari dell’”accoglienza” rimangono quelli di oggi, il tracollo fiscale si avvicina del 35% rispetto alle altre variabili non collegate all’immigrazione di massa. E’ vero, come diceva recentemente Soros, con tanti poveri Cristi disposti a qualsiasi lavoro il PIL tende a crescere, ma tendono a crescere in percentuale maggiore le spese sanitarie, quelle sociali, per le abitazioni e tutto fuori da un corrispettivo fiscale credibile. Caro Soros, la tua passione per la filosofia di Karl Raimund Popper ti rende sempre troppo ottimista.

Se la via delle “porte aperte” è impercorribile, peraltro in paesi già largamente sovrappopolati come i nostri UE, allora l’unica soluzione diventa quella del premier britannico Cameron. Il leader Tory ha proposto niente welfare per i cittadini europei per i loro primi quattro anni di residenza in UK, il rimpatrio obbligato per i disoccupati esteri, una restrizione sulle entrate dei migranti non-UE. E’ ovvio che si tratterà di modificare i Trattati, ma Londra, diversamente da quanto accade a Roma, sa che il diritto internazionale, più di altri, è come diceva Mao Zedong: “un timone che va dove vuole chi comanda la barca”.

L’alternativa è l’uscita dell’Inghilterra dalla UE, un paradosso vista la palese estraneità di Londra ai riti, ai miti, alla stessa mentalità europea e europeista. Ma, nella capitale britannica, passa una quantità colossale di transazioni finanziarie, che sostiene il 34% della spesa pubblica inglese. E quindi, perché Londra dovrebbe rimanere, anche se in funzione di cane da guardia, in un’area che non le interessa, a parte un po’ di export?

Detto tra noi, ma con questa classe politica c’è poco da sperare, anche noi, e tutti gli altri membri UE, dovremmo rinegoziare i Trattati che ci riguardano. L’Italia dovrebbe riconsiderare molte cose, ma soprattutto la politica di protezione dei marchi e dei prodotti dell’agroalimentare, del tessile e dei macchinari, dovrebbe chiedere a Bruxelles se l’UE non fosse solo un “albergo del libero scambio”, per usare il titolo di quella commedia di Feydeau oppure un progetto per il Medio Oriente e il Maghreb, che non oscilla tra la destabilizzazione folle, come in Libia, e l’umanitarismo furbo e sentimentale.

Mi viene qui in mente un carissimo amico, e compagno di Liceo al “Marco Polo”, Gianni De Michelis. Non esito a definirlo uno dei migliori, forse il migliore, ministro degli Esteri che abbiamo avuto negli anni recenti. Fu Gianni ad inventare, mentre tutti sapevano che l’Est stava sfaldandosi, l’Ottagonale per i rapporti tra Italia e i Paesi Balcanici e del vecchio Est prosovietico, fu Gianni a preparare, durante la sua presidenza del Semestre Europeo, proprio la Moneta Unica, che lui pensava e pensa ben diversa da quella che si è realizzata, fu infine Gianni a leggere correttamente, e con tutti i sottili distinguo, la caduta del Muro di Berlino.

Ecco, occorrerebbe la fantasia e la capacità strategica di progettare, appunto, il nuovo ruolo italiano nella UE senza, per dirla con il Manzoni del 5 Maggio, “servo encomio e codardo oltraggio”.

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