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Tutti i dettagli del flirt Italia-Iran

Il piatto iraniano è ricco e l’Italia ci si vuol ficcare. D’altronde il rapporto tra Roma e Teheran è solido, ben da prima che Washington sbrogliasse la matassa sul programma nucleare della Repubblica Islamica e che quest’ultima si liberasse così del fardello delle sanzioni. Non stupisce, dunque, l’ottimismo sprizzato dalla Farnesina per la visita ufficiale della delegazione italiana, giunta ieri in Iran e di ritorno oggi sotto la guida del ministero degli Esteri di Paolo Gentiloni (che era stato a Teheran già nel marzo scorso) e di quello dello Sviluppo economico retto da Federica Guidi.

LA COMMISSIONE MISTA

Le relazioni con il regime degli Ayatollah, rinsaldate dal prevedibile ritorno dello Stato sciita sulla scena internazionale – tuttavia non ancora scontato -, ripartiranno all’insegna degli affari. Il numero uno della diplomazia peninsulare ha annunciato, in accordo col suo omologo Mohammad Javad Zarif, che Italia e Iran creeranno, in prima battuta, una commissione mista per curare i rapporti economici bilaterali. Poi il resto verrà da sé, o almeno così sperano le tante imprese italiane che ambiscono a entrare in un mercato da circa 80 milioni di abitanti. Un mondo ancora lontano dall’essere saturo e che aprirà varchi importanti nei settori energetico, finanziario, delle infrastrutture e dei trasporti, automotive e in quello dell’avionica.

L’INTERESSE DI TEHERAN

L’interesse non è a senso unico. La voglia di collaborare è reciproca, poiché, spiega un dirigente dell’Ice al Fatto Quotidiano, l’Iran si deve aprire al mercato in modo quasi obbligato. “Ha una popolazione giovane. Trentenni laureati e preparati, nei prossimi anni il problema… sarà trovare il lavoro a tutti questi giovani” e l’Italia può essere in questo “un partner affidabile”. Un aspetto evidenziato dal fatto che, come dice l’agenzia Reuters, il presidente iraniano Hassan Rouhani ha già “accettato l’invito del governo italiano a recarsi a Roma, in quello che sarà il suo primo viaggio in una capitale europea dopo l’accordo“, anche se non se ne conosce ancora la data.

LA MISSIONE ITALIANA

Roma vuole dimostrarlo da subito. La pattuglia italiana, scrive Il Foglio, “conta 14 aziende private e pubbliche, 5 agenzie statali e 3 associazioni di categoria“. “Aziende di Stato, con l’ad di Finmeccanica Mauro Moretti, quello di Eni, Claudio Descalzi, la galassia Cassa Depositi e Prestiti, presenti l’ad di Cdp, Fabio Gallia e quello del Fondo strategico italiano, Maurizio Tamagnini. Le banche: Giovanni Sabatini, dg dell’Abi, e Giuseppe Scognamiglio, dirigente di Unicredit, Mediobanca. E altri, tra i quali i vertici di Fincantieri, Anas, gruppo Terna, Edison, Ansaldo Energia, Confindustria, Italferr e Iveco”. Proprio dal gruppo di Piazza Monte Grappa e dalla sua controllata Fata è arrivata ieri una prima notizia: l’annuncio, giunto al termine di un incontro tra la Guidi e il ministro dell’Industrie e delle Miniere Reza Nematzadeh, di una commessa da mezza miliardo per la realizzazione di una centrale idroelettrica a ciclo combinato in joint venture con l’iraniana Gadir.

RITORNO AL FUTURO

L’ambizione della Farnesina e del Mise, rimarca il quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, “è raddoppiare in due anni l’interscambio, dimezzatosi dal 2006 a oggi a 1,6 miliardi di euro” e tentare così di “tornare primo partner europeo del Paese“. Un obiettivo non facile, perché l’Iran fa gola anche ad altri, Usa, ovviamente, ma soprattutto Germania e Francia, che hanno già fatto visita a Teheran nelle scorse settimane per perorare la causa delle loro imprese.

LA CONCORRENZA DI BERLINO E PARIGI (E DI PECHINO)

A Teheran, commenta Alberto Negri sul Sole 24 Ore, “non c’è una corsa alle commesse facili”, come potrebbe apparire. “Gli iraniani puntano a scambi di tecnologia e joint venture, soprattutto nei settori industriali”. E in questi campi “la concorrenza si fa sentire”. Parigi e Berlino, si diceva, con “i loro ministri Sigmar Gabriel e Laurent Fabius”, che ci hanno preceduto, seppur di poco. Ma anche Pechino non resta a guardare. “Sarà complicato per gli europei – prosegue il quotidiano confindustriale – insidiare la supremazia della Cina che ha 50 miliardi di dollari di interscambio”. Un vantaggio maturato grazie ai “22 miliardi di fondi iraniani congelati” negli istituti di credito della Repubblica Popolare. Nonostante ciò, l’Italia ha i suoi assi nella manica. Resta da vedere come li giocherà.

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