Come si sa il prossimo 8 dicembre avrà inizio l’anno giubilare indetto da Papa Francesco quasi all’improvviso pochi mesi fa. Si tratta di un evento centrale per la Chiesa Cattolica e per tutta la cristianità, ma si tratta, ovviamente, anche di un grande avvenimento per la città di Roma e l’Italia, sicuramente in un periodo non tra i più floridi e luminosi della sua storia.
Di là delle polemiche che giustamente stanno riempiendo le pagine dei giornali sulla scarsità di tempo e mezzi per organizzare l’enorme flusso di pellegrini che verranno nella Capitale, è utile soffermarsi un momento anche sul significato che questo Giubileo avrà nel quadro programmatico del magistero di papa Francesco.
Alcune indicazioni contingenti ci sono suggerite dai molti interventi che il Santo Padre ha fatto in questi ultimi mesi, e ancor più da due documenti di rilevanza cruciale per capire la sensibilità di Bergoglio, in particolare la recente Enciclica Laudato sì, dedicata alla cura della casa comune, e l’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, manifesto del suo pontificato.
Durante la catechesi nell’Udienza Generale di oggi, Francesco ha utilizzato un’espressione estremamente efficace per comunicare la traccia che egli seguirà certamente durante il Giubileo: “Niente porte chiuse!”.
L’appello nello specifico riguardava le coppie sposate che vivono difficoltà coniugali, ma il suo senso autentico riposa nel tipo di atteggiamento che la Chiesa intende assumere in generale verso tutti, in specie i deboli e i sofferenti. L’accoglienza, l’apertura, il porgere le braccia aperte all’altro sono la vera missione che il cristiano deve far crescere nel proprio cuore e deve tradurre poi in azioni concrete.
In fondo soprattutto la citata Enciclica ha come perno il rispetto dei propri limiti e il riconoscimento caritatevole che la dignità di ogni persona umana deriva da Dio e non dalla volontà tecnocratica di dominio del mondo. Un ideale che deve necessariamente filtrare attraverso un atteggiamento spiritualmente disponibile e benevolo soprattutto nei riguardi dei più fragili. Emerge così il vero grande tema, quello dei poveri. Il prossimo Giubileo sarà anche un’occasione per creare maggiore condivisione e abbattere le barriere e le diseguaglianze che dividono oggi più che mai l’umanità. L’attenzione per i poveri è sensibilità amorevole verso le persone che vivono condizioni di difficoltà e indigenza, soprattutto come stimolo a praticare un’etica dell’amore che oltrepassi la mera pratica asettica della giustizia livellatrice.
Un’ultima parola riguarda il grande valore che assume per Francesco l’idea di ‘popolo’. Già Benedetto XVI aveva sancito la portata teologica che ha, nell’ottica del Concilio Vaticano II, il ‘nuovo popolo di Dio’. Francesco, però, conferisce all’espressione un’indicazione molto più concreta e, se vogliamo, politica.
Il Giubileo sarà in tal senso un vero e proprio appuntamento popolare, vale a dire collegato ad una visione culturale dell’essere umano inteso come un tutto individuale e comunitario. La Chiesa in uscita e la sensibilità verso i poveri non sono comprensibili realmente, infatti, se non in una cornice nella quale i diversi popoli compongono insieme lo scenario globale con precise caratteristiche e identità, tutte partecipi di un medesimo destino universale.
Già nei suoi scritti anteriori al pontificato, Bergoglio aveva spiegato che ”noi come cittadini vuol dire noi come popolo; cioè noi come cittadini in seno ad un popolo”. Popolo, d’altronde, è una nozione che supera quella di società, in quanto rivela una forma storica e mistica più estesa di aggregazione rispetto alle pure e semplice relazioni utilitarie: un legame umano indissociabile dal modo d’essere di ogni persona.
Il recupero, dunque, oltre l’individualismo di un senso comunitario popolare che non esclude ma estende quello di società, attraverso la condivisione sentimentale e amorevole di un fine generale e trascendente è, quindi, il messaggio che il Giubileo di Francesco cercherà di comunicare da Roma al mondo intero.
Insomma pensare in un’ottica in cui la singola persona non trovi solo nelle ideologie e nell’egoismo il proprio senso, indirizzando la propria libertà solidale e partecipe all’interno di una più profonda dimensione spirituale espressa nell’essere soggetto materiale interno ad un popolo tra i popoli della Terra.