Nessuno può seriamente auspicare lo scioglimento per mafia della Capitale d’Italia: non solo per le evidenti conseguenze negative dell’immagine internazionale dell’Italia e della nostra città, ma anche per più prosaiche questioni, legate al rating del monumentale debito comunale, al più che probabile conseguente fallimento di Ama e Atac, ai diciotto mesi di paralisi che seguirebbero il commissariamento nel bel mezzo del Giubileo.
Così come a nessuna persona onesta intellettualmente può sfuggire la distanza che separa la “mafia romana”, che secondo la Procura di Roma può legittimamente essere individuata nel sodalizio Buzzi-Carminati, da associazioni criminali come Cosa Nostra, la Camorra, la Ndrangheta. I nostri sono soltanto mafiosi in sedicesimo, tangentisti compulsivi, più simili a ordinari corruttori delle istituzioni che a veri e propri mafiosi. Tuttavia la legge non contempla un’accurata classificazione di mafie di prima, seconda e terza classe e, al momento, l’accusa di associazione mafiosa ha retto il vaglio del tribunale del riesame e della cassazione. Pertanto di mafia continuiamo a parlare, nell’attesa che i processi ci dicano chi siano i colpevoli e gli innocenti e, soprattutto, se l’accusa reggerà fino in cassazione.
Di qui tutta la mia comprensione per il delicato lavoro che hanno dovuto svolgere la Commissione prefettizia prima e il Prefetto Gabrielli dopo, per tirare le fila di sottilissime, impercettibili distinzioni tra infiltrazione mafiosa e ordinaria corruzione nelle tumultuose vicende della Giunta Marino. Come salvare dallo scioglimento per mafia un’amministrazione che ha avuto l’ardire di nominare un Assessore, un Presidente del Consiglio, un Presidente di Commissione e un Direttore generale dell’Ama finiti agli arresti e persino un responsabile dell’anticorruzione indagato per il 416 bis? Come giustificare una Giunta che ha rimosso i dirigenti, come la dottoressa Acerbi, che hanno avuto il coraggio di opporsi alle proroghe e ai favori richiesti da Buzzi, cacciato per la stessa ragione Assessori come la Cutini, trasferito da Ostia un Comandante dei vigili come Stefano, inviso al detenuto Tassone, che mal sopportava che avesse indagato sul suo conto? Come spiegarsi la mancanza di senso della realtà di un Sindaco con questo smisurato fardello di errori sulle spalle, che rifiuta di dimettersi e pretende persino di autocertificarsi titolare di patenti di difensore della legalità?
Tenere in equilibrio la necessità di salvare Roma dall’onta dello scioglimento con l’esigenza di rispettare la legge, calpestata ed umiliata dall’amministrazione Marino, è un gioco zen a cui tutti siamo costretti da un Partito democratico arrogante e al tempo stesso terrorizzato dall’ipotesi di un ritorno alle urne e da un Sindaco deciso a tenere in ostaggio la città fono alle estreme conseguenze, pur di salvare se stesso dall’oblio.
Per molto meno, Renata Polverini rassegnò immediatamente le dimissioni, non appena fu chiara la portata del caso Fiorito. Neppure si ricorda, nella pur travagliata storia giudiziaria delle amministrazioni dello Stato unitario, dal 1861 ad oggi, un comune con un così elevato numero di amministratori indagati o arrestati, in cui il Sindaco non abbia sentito il dovere di rassegnare le dimissioni.
Nè voglio tacere le enormi responsabilità della precedente giunta di centrodestra, alla quale chiederei, se fosse ancora in carica, un identico senso di responsabilità, invitandola a liberare il Campidoglio nel più breve tempo possibile.
Non di meno su queste vicende mi limito a svolgere un ruolo politico attento, puntuale, scevro da personalismi, caratterizzato da interventi parlamentari tanto intransigenti quanto documentati, cercando di non andare mai sopra le righe, perché trovo che la situazione sia già abbastanza grave senza che vi si debba aggiungere alcun additivo.
Per tutte queste ragioni fatico a comprendere un eccesso di protagonismo del prefetto Gabrielli, le cui esternazioni costituiscono ormai una rubrica fissa nelle cronache romane. Proprio perché ho apprezzato il notevole compito che ha dovuto svolgere redigendo la sua relazione, non credo aiuti la ricerca di equilibrio e di prudenza, richiesti dal momento delicato che stiamo attraversando, commentare i verbali di Buzzi che vengono pubblicati in questi giorni, specificando che “non fanno Cassazione”. Così come non sarei cosi tranchant elencando i comuni in provincia di Roma meritevoli di scioglimento, dimenticando che in alcuni casi si tratta di situazioni neanche lontanamente paragonabili al quadro che caratterizza la Capitale.
Come dimostra lo svolgimento del Consiglio dei Ministro di ieri sera, dove si è deciso di rinviare ogni decisione sullo scioglimento del comune di Roma a fine Agosto, siamo in una fase che richiede misura e senso di responsabilità. Da quel che si capisce alcuni indagati stanno collaborando e ovviamente la Procura cerca i riscontri delle loro dichiarazioni. Ci sono nuovi filoni di inchiesta, come quello che si dipana intorno al porto di Ostia e alle vicende di Balini, che chiamano in causa settori dell’amministrazione fin qui appena lambiti dalle inchieste sulla 29 giugno. In questa situazione è consigliabile la strada del silenzio e dell’attesa: ci sono casi in cui chi ha importanti responsabilità può scegliere di tacere con successo. Lasciamo lavorare i magistrati e continuiamo a sperare che Roma non verrà mai sciolta per mafia. Magari confidando in un Partito democratico più coraggioso, che si assuma la responsabilità di licenziare un Sindaco ormai barricato in Campidoglio, deciso a negare alla città ogni speranza di voltare pagina.