Nessun materiale riservato è finito nelle mani sbagliate, ma l’ennesimo attacco, questa volta nei confronti del Pentagono, alza ulteriormente l’allarme – già elevatissimo oltreoceano – per il conflitto cibernetico globale in atto, che ha in Mosca uno dei suoi principali protagonisti.
L’OFFENSIVA RUSSA
La guerra di bit non conosce soste. E così, a una settimana dalla notizia di alcuni hacker russi che avrebbero utilizzato Twitter per diffondere potenti virus attraverso i quali controllare alcuni loro obiettivi, il governo americano rende nota una nuova offensiva di pirati informatici di Mosca. Secondo prove raccolte dagli Usa – spiega la Nbc – gli Usa ritengono che intorno al 25 luglio scorso alcuni manigoldi si siano intrufolati nel sistema di email non top secret della Difesa americana, costringendola a chiuderlo per le due settimane successive.
CHI È STATO COLPITO
Secondo le fonti ascoltate dalla tv americana, la “cyber intrusione sofisticata” ha colpito circa 4mila dipendenti, civili e militari, del Joint Chiefs of Staff, ossia dello Stato maggiore congiunto, l’organo che riunisce i capi di Stato maggiore di ciascun ramo delle forze armate statunitensi.
I PRESUNTI RESPONSABILI
Per il Daily Beast, il primo a riportare la notizia, si tratterebbe degli stessi pirati informatici probabilmente responsabili di altre operazioni di hackeraggio condotte ad aprile ai danni del dipartimento di Stato e della Casa Bianca. Diversamente da allora, però, evidenzia il magazine, “gli hacker sembrano dei veri e propri professionisti”. Le tecnologie utilizzate infatti “li rendono difficili da individuare anche perché sono stati in grado, finora, di cancellare ogni loro traccia.
LA DINAMICA
Il sito, è entrato in possesso di una email di avvertimento spedita ieri dal dipartimento della Difesa che racconta come siano “almeno cinque” gli utenti del dipartimento attaccati dagli hacker. Questa la dinamica. I computer sarebbero stati infettati con un messaggio ricevuto dai dipendenti nella loro casella di posta elettronica e che sembrava fosse stato inviato dalla National Endowment for Democracy, un’organizzazione no-profit con sede a Washington. In quella email c’era un link che, se cliccato, faceva partire il download di un software maligno sul computer della vittima.
GLI STRASCICHI DEL CASO HACKING TEAM
E che il fronte degli attacchi sia caldissimo lo conferma anche un’altra notizia, diffusa dalla stessa testata, e che coinvolge per certi versi l’Italia. L’Fbi ha inviato ieri un messaggio in cui avverte che pirati informatici stanno conducendo attacchi contro “le agenzie governative Usa e le aziende private” utilizzando alcune vulnerabilità di Adobe Flash. Una falla, scrive ancora il Daily Beast, emersa quando la società milanese Hacking Team – specializzata nella tecnologia per lo spionaggio informatico – è stata attaccata a sua volta, portando alla luce i dettagli delle sue relazioni con governi e agenzie di mezzo mondo, compresi quelli americani.
I SOSPETTI
Non è chiaro se l’attacco al Pentagono sia stato sferzato da individui o dal governo russo. Sono troppo pochi ancora gli elementi raccolti perché gli inquirenti possano stabilire eventuali relazioni col Cremlino. Ma per gli esperti, la vicenda conferma, indirettamente e per l’ennesima volta, i timori di Washington, che in svariati documenti ufficiali – compresa la recente Cyber Strategy approvata dal Pentagono – individua in Mosca un pericolo per la propria sicurezza cibernetica e per quella dei propri alleati.
GLI USA NEL MIRINO?
Uno scenario reso ancora più chiaro dalla Norse Attack Map, un progetto al quale lavorano cinquanta ingegneri che hanno il compito di raccogliere informazioni sui flussi degli attacchi informatici da più di otto milioni di sensori localizzati in 50 Paesi. La Nam è in parole povere una mappa – visibile a tutti online – che consente di visualizzare globalmente, e in tempo reale, i cyber attacchi scagliati ogni giorno e che identifica quali Paesi li sferrano e quali sono i loro obiettivi. Lo schermo mostra il tipo di attacco e la posizione geografica dell’ip. Ed emerge, sembra ombra di dubbio, come gli Stati Uniti siano, di fatto, l’obiettivo principale della quasi totalità degli attacchi.