Il poco galante segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, Nunzio Galantino, appunto, comincia a raccogliere i frutti tossici delle sue sortite contro la politica. Che lo hanno messo in sintonia con i qualunquisti, come gli ha rimproverato il ministro renziano Graziano Delrio.
Indiscrezioni di stampa, magari destinate ad essere smentite dai monsignori curiali o dai fatti, parlano di una telefonata d’avvertimento del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale, e di raccolte di firme persino nei conventi per chiedere che le gerarchie intervengano a fermare Galantino, per quanto spalleggiato proprio nelle ultime ore dal vescovo di Melfi, monsignor Gianfranco Todisco. Che, già distintosi per la polemica con Sergio Marchionne per il lavoro festivo negli stabilimenti della Fiac-ex Fiat, si è richiamato a Papa Francesco per sostenere che i vescovi sono stati da lui incoraggiati a “sconfessare i politici e i corrotti”. Non politici corrotti, quindi, ma politici e corrotti.
Intanto compaiono sui giornali le prime inchieste, chiamiamole così, sugli sconti ai preti per l’acquisto di sigarette e benzina. Sulla strada tracciata da Galantino ce ne sarebbe insomma per tutti: caste e castine, anche con tonaca.
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Già impegnato da tempo, in verità, a fare le pulci all’Unione Europea, a guida ormai tedesca, e forte della indubbia esperienza accumulata negli anni passati a Bruxelles come presidente della Commissione esecutiva, Romano Prodi è ormai scatenato. “Terribile” egli ha definito la situazione europea scendendo dalla solita bicicletta dopo i soliti, anch’essi, cinquantotto chilometri percorsi alla bella età – beato lui – di 76 anni.
La permanente crisi greca, nonostante il salvataggio annunciato con le ultime intese, e la gestione, a dir poco, contraddittoria dell’imponente fenomeno dell’immigrazione fanno formulare a Prodi giudizi e previsioni pessimistiche. E a incitare anche il governo italiano a muoversi con più coraggio per contrastare gli eventi, e fermare evidentemente la deriva tedesca di una Unione voluta e impostata con ben altro spirito, più solidaristico di quello che è emerso.
Resta tuttavia da capire perché Prodi abbia aspettato tanto per trarre le conseguenze da quella prima denuncia, che pure ebbe il coraggio di fare, della “stupidità” dei parametri europei fissati nel 1992 con i famosi trattati di Maastricht. E che andrebbero rinegoziati, prima di farli travolgere dalla impopolarità crescente dell’Europa a trazione tedesca che ne è derivata.
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Crescono i moniti a Matteo Renzi, dentro il Partito Democratico ma anche fuori, contro quelle che Luciano Violante ha appena definito “le maggioranze transitorie”, cioè variabili, con le quali si sospetta che il presidente del Consiglio voglia cercare di vincere la battaglia, o guerriglia, d’autunno nell’aula di Palazzo Madama per la riforma del Senato.
Alle maggioranze transitorie e variabili, garantite dai fuorusciti dai gruppi d’opposizione, Renzi dovrebbe preferire un accordo finalmente chiarificatore con la minoranza del suo partito, evidentemente accontentandola. O, in alternativa, l’allargamento negoziato e trasparente della maggioranza a quel che resta, e che pure conserva una sua consistenza parlamentare, del partito di Silvio Berlusconi.
Il punto da chiarire nel dibattito politico, e nella manovre di partito e di corrente che sempre lo accompagnano, è se al progetto delle maggioranze transitorie e variabili contestato a Renzi si possa o debba accomunare una indisponibilità che è stata in questi giorni attribuita al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’indisponibilità a coprire, accettare o addirittura promuovere “acrobazie”, sia per evitare la crisi sia per fronteggiarla, se dovesse sopraggiungere.