Con la pubblicazione oggi di due importanti decreti legislativi, contenuti rispettivamente nelle due lettere “motu proprio” titolate “Mitis Iudex Dominus Iesus”, riguardante il codice di diritto canonico, e “Mitis et misericors Iesus”, riguardante il codice dei canoni delle Chiese orientali, Papa Francesco avvia il processo di riforma giuridica del matrimonio cattolico.
Come già emerso nelle ultime ore, si tratta di un intervento del Papa molto rilevante, in continuità con i risultati del Sinodo straordinario dell’ottobre scorso e in attesa della conclusione dei lavori complessivi che inizieranno con il sinodo ordinario il 4 ottobre.
La materia, in effetti, avvia, documento alla mano, uno snellimento del processo legislativo di annullamento canonico, il quale prevede anche una sorta di rito breve, gestito direttamente dal vescovo diocesano, nel caso in cui vi sia la volontà di entrambi i coniugi e testimonianze terze probanti. Inoltre la gestione del procedimento prevederà un solo grado di giudizio che promette di essere più rapido che in passato.
Qual è il significato che assume questa prima importante riforma?
La risposta a questa domanda deve distinguere tre livelli di comprensione del sacramento matrimoniale in seno alla Chiesa. Vi è un primo livello che è teologico e sacramentale, il quale decreta la validità teologica del matrimonio, per mezzo della quale due persone di genere diverso si uniscono con un vincolo pubblico indissolubile.
Questo livello non è riformabile perché appartiene direttamente alla predicazione di Gesù presente nel Nuovo Testamento, e ha avuto sempre una conferma dalla tradizione. In Matteo 19, 3 Gesù dice espressamente che esiste una distinzione sessuale voluta da Dio con la creazione, la quale rende possibile il libero impegno matrimoniale di un uomo e una donna, dopo il quale non è lecito ripudiarsi reciprocamente o unilateralmente da parte dei coniugi così sposati.
Vi è poi un secondo livello che è quello giuridico, su cui il Motu proprio di oggi è intervenuto al fine di semplificare l’accertamento delle condizioni di validità del patto coniugale e eventualmente annullarlo. In effetti più che in passato nel presente molte persone che celebrano il matrimonio sacramentale non hanno la formazione adeguata per comprenderne la forma e la natura specifica. Si sposano per consuetudine rituale e non per convinzione vocazionale. Qui sta il punto. Molti matrimoni sono di fatto nulli fin dall’inizio. È importante perciò aver reso più snello il processo che deve accertare la validità effettiva iniziale del patto e la consapevolezza dei ministri che s’impegna per sempre, vale a dire i coniugi.
Quindi vi è un terzo livello che è quello pastorale, su cui si pronuncerà il prossimo Sinodo in modo finale. Qui il lavoro è enorme perché il numero dei cattolici divorziati è grande e in aumento progressivo. La Chiesa non può chiudersi al mondo solo per il fatto che non può cambiare la rivelazione. Francesco ha spiegato bene nell’Angelus di domenica scorsa che ”il peccato è chiusura”, a tutti i livelli: individuale, familiare, comunitario, ecclesiale, eccetera.
È necessario rendere accessibile la verità cristiana ad un mondo poco cristiano, aprendo le porta alla realtà, senza perdere o distruggere la verità.
Avere una pastorale adeguata alle nuove situazioni di crisi ormai da tempo esistenti è in definitiva una necessità opportuna e un obbligo di carità. Il cristianesimo non è una religione normativa e chiusa, è una rivelazione immutabile che comunica l’amore personale di Dio per gli uomini, porgendo un mezzo indispensabile e unico di salvezza, affidato alla Chiesa come soggetto di missione aperto e disponibile a dare quanto di divino ha ricevuto una volta per sempre a tutti coloro che lo desiderano. È giusto pertanto per la Chiesa adattarsi alla situazione sociale odierna, senza, naturalmente, poter mai abbandonare o mutare la verità divinamente rivelata presente nella Scrittura, nel Magistero e nella Tradizione.