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Perché serve una vera guerra contro Isis

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il Daesh/Isis viene proclamato da Al Baghdadi il primo giorno di Ramadan, il 29 giugno, del 2014.
Se, prima, Al Qaeda era una rete di organizzazioni terroristiche con un territorio indefinito; tutte giuravano nelle mani del Califfo, Bin Laden o Zawahiri, la loro fedeltà al capo e all’organizzazione centrale, Daesh/Isis è invece uno stato che si organizza non come una organizzazione terroristica, ma come un gruppo territoriale ancora in guerra “contro Ebrei e Crociati”.

La territorialità della struttura di Al Baghdadi rende più difficile il lavoro dell’Occidente, dato che quest’ultimo si era adattato molto lentamente a una guerra di attrito contro le molteplici organizzazioni qaediste, non ad un attacco frontale e convenzionale contro uno Stato, sia pure “canaglia” come quello del daesh.
L’Occidente non vuole e forse non sa combattere una guerra convenzionale di medio-lungo periodo, e si era adattato, anche sul piano tecnologico e dottrinale, all’azione antiterroristica multipolare e asimmetrica delle varie “filiali” di Al Qaeda central.

Strike brevi e chirurgici, spesso passati sotto silenzio per evitare l’allarme in una popolazione che non vuole più combattere, nemmeno per la propria sopravvivenza, riposizionamento dei qaedisti, altro attacco.
La sequenza della lotta contro il jihad, fino all’anno scorso, era questa, in tutto l’Occidente.
Anche lo stesso criterio del “terrorismo” era, comunque errato: il terrore non era un fine, ma un mezzo, per Al Qaeda, era il suo modo di condurre una guerra corsara e sfruttare l’effetto sorpresa con scarsi investimenti tecnologici e il massimo danno possibile per “Ebrei e Crociati”.

Sia il gruppo di Bin Laden sia quello di Al Baghdadi, però, vogliono combattere per il ritorno del Califfato nelle aree in cui sono stati presenti anticamente i musulmani, in Europa ed altrove, e quindi il concetto strategico è semplice: acquisire di nuovo le antiche aree di espansione califfale in Europa e in Occidente (si ricordi la cartina pubblicata dall’Isis tempo fa) e reclamare come proprie le nuove zone di ripopolamento islamico, quando la maggioranza della popolazione europea sarà di origine e religione musulmana.
L’idea, sia di Al Qaeda che del Daesh/Isis, è quella di preparare il mondo intero per l’arrivo dell’”Ora”, il Giorno del Giudizio, il Yawn al-Qiyama della tradizione coranica.

Anche gli sciiti duodecimani, maggioranza della classe al potere in Iran, ritengono peraltro che la Finis Mundi sia vicina e vada attentamente predisposta.
La rivista in inglese del Daesh si chiama, non a caso, Dabiq, il nome della città siriana vicino ad Aleppo dove, secondo un hadith muhammadico, vi sarà lo scontro finale tra le armate islamiche e quelle “romane” (ovvero occidentali) prima della Fine del Mondo.
Sul piano geopolitico, ci troviamo di fronte ad una trasformazione radicale della visione e della strategia globale europea e occidentale.

Prima, anche dopo la fine della guerra fredda, l’Europa si pensava come un unicum strategico collegato al sistema atlantico e quindi agli USA, ora invece l’Europa scopre di essere sola di fonte ad un Medio Oriente che non è più cuscinetto tra essa e l’Asia, ma un’area di continuità con tutte le tensioni che l’Asia centrale e la stessa Africa contengono.
Il Grande Vicino Oriente non è più frazionato nei vari Stati che, dal Patto Sykes-Picot del Marzo 1916, diluiscono le tensioni islamiste e nazionaliste dell’area, ma si sta unificando, grazie al jihad, proprio nelle aree che formano il centro dei passaggi petroliferi e commerciali marittimi verso la penisola europea, tra il Sinai e lo Shatt-el-Arab.

Non aver compreso fin dall’inizio quanto fosse vitale, per noi, non farsi stringere la vena giugulare di Suez e del Golfo Persico è una colpa gravissima per tutta la classe politica UE, che evidentemente non conosce il detto di Eraclito: “Polemos (la guerra) è padre di tutte le cose, di tutte re, e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi”.
Il calcolo di alcuni paesi occidentali, Usa compresi, era quello di isolare l’Iran, chiudergli il passaggio e il centro di gravità siriano-iracheno, danneggiare la Federazione Russa eliminando la Siria baathista, fare un favore agli Stati sunniti del Golfo e, infine, utilizzare alcuni “ribelli” jihadisti (come Jabhat al Nusra in Siria, i qaedisti locali) per distruggere “i tiranni” e, magari, portare la famosa “democrazia”.

Abbiamo visto la folle inefficacia di questo progetto in Libia, quindi non mi dilungo sulla ovvia critica a tale strategia.
Ma cosa vuole davvero l’Isis/Daesh? In prima battuta, come si dice in un numero di Dabiq, “destabilizzare il Taghut” l’idolatria, distruggendo quegli Stati che la perseguono. Lo Stato-nazione, che tende ad una sua propria religione politica identitaria, è di per sé taghut, idolatra, secondo la teologia ingenuamente estremistica del Daesh/Isis. Detto tra parentesi, questo criterio dovrebbe valere anche per il Califfato di Al Baghdadi.

Dopo questa fase, il regime del Califfo di Raqqa dovrebbe espandersi e diventare un emirato, conquistando anche le aree anticamente islamizzate oppure quelle dove, in Stati non coranici, è presente una vasta e spesso maggioritaria popolazione musulmana.
Naturalmente, i confini attuali e futuri del Daesh sono strategicamente molto rilevanti.
Oggi il Califfato controlla i confini siriani con la Turchia, la seconda più grande forza armata della NATO, che utilizza i suoi rapporti ambigui con l’Isis/Daesh per chiudere definitivamente la partita con i curdi di Mossul e Suleymanya, poi Al Baghdadi ha circondato Baghdad prima di acquisirla al suo stato, ricordandosi forse di quanto fosse importante la capitale irachena nel pensiero strategico di Lawrence d’Arabia, sta assediando Aleppo, cuore dell’area alawita e porta verso il Nord e il Mediterraneo, infine è arrivato all’area di Al Hasakah, nella direzione della Turchia anatolica e, ancora, verso Mandali, in direzione di un eventuale guerra di attrito ai confini dell’Iran.

Senza una vera e propria azione di guerra, anche prolungata, in Medio Oriente contro l’Isisi/Daesh, condotta da una coalizione UE, dalla Federazione Russa e con l’aiuto della Cina, magari anche solo logistico e finanziario, l’azione del Califfo avrà successo.
Ma, dopo, ci accorgeremo che il Daesh comincerà ad espandersi verso Damasco e Gerusalemme, collegandosi con le sue reti jihadiste del Sinai fino ad arrivare alle rive di Suez, per poi destabilizzare l’Egitto di Al Sisi da due lati, quello fluviale e l’altro libico.
A questo punto, l’Europa non avrà più significato geopolitico (ed economico) sarà una terra controllata militarmente e sulle sue rotte commerciali dal jihad territoriale di Al Baghdadi. Sarebbe bene muoversi ora, che è già tardi.



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