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Cosa ha fatto la coalizione anti Isis in Siria e Irak? Numeri e analisi

Mentre la Casa Bianca e Foggy Bottom valutano se e come aiutare Bruxelles per fronteggiare l’emergenza migranti, in Europa e oltre oceano ci s’interroga sui risultati raggiunti dalla coalizione anti Isis in Siria e Irak, le aree da cui proviene il maggior numero di richiedenti asilo.

LE PENE DI OBAMA

Per il Guardian, anche se gli air strikes che durano da un anno paiono funzionare, non incidono troppo sui rapporti di forza sul terreno (anche per il caos che impera in quella che è ormai una guerra per procura e di interessi contrapposti).
Anche per questo, dice la testata britannica, le mosse di Obama e i suoi limiti in politica estera sono sotto accusa anche in “casa”, dove i repubblicani criticano le sue scelte, definendole inutilmente costose perché inefficaci.
Ma oltre al fronte interno, Obama deve guardarsi anche dal crescente protagonismo russo nelle sorti di Damasco: se – con la crisi ucraina ancora in atto – Vladimir Putin dovesse riuscire a trovare in Siria quell’equilibrio di forze necessario a pacificare il Paese e finora sfuggito al presidente democratico, per il Capo di Stato Usa non sarebbe proprio un bagno di popolarità.

I NUMERI DELLA COALIZIONE

I numeri snocciolati oggi sul Corriere della Sera da Guido Olimpio, dicono poi che i raid contro i drappi neri hanno finora “tolto di mezzo molti jihadisti, dai 10 mila ai 15 mila mujaheddin”. Dall’8 agosto di un anno fa, ha scritto Olimpio, “la coalizione ha condotto oltre 6600 «strikes» in Siria e in Irak. Sono stati sganciati 23 mila ordigni e sono state eseguite 23 mila missioni di rifornimento in volo”, con una media giornaliera delle sortite “di 23,6. Quasi zero rispetto ad altri conflitti”. La maggior parte del lavoro è toccata a Washington, nonostante l’alleanza “sia composta da una dozzina di Paesi”. Un impegno costato non poco: “Il conto provvisorio è di 3,7 miliardi di dollari, 9,9 milioni al giorno, dei quali 4,6 in missili, razzi e bombe”.

LE DUE FASI

Le operazioni, prosegue il quotidiano di Via Solferino, hanno avuto due fasi. “La prima ha preso di mira le strutture militari” e messo “fuori combattimento anche 119 carri armati, 2.577 postazioni di combattimento”. Poi “il Comando centrale si è dedicato all’apparato economico dello Stato Islamico: 196 gli impianti petroliferi inceneriti”. Nei primi mesi del 2015 “si è passati alla seconda fase per eliminare i quadri del movimento”. Missioni che “hanno portato a risultati, anche se l’Isis rimpiazza in fretta i suoi «martiri»”.

I RITARDI DELL’OCCIDENTE

Ma più che i numeri, sotto accusa sembrano essere strategia e tempismo. Sempre sul giornale diretto da Luciano Fontana, Franco Venturini sottolinea oggi che “l’Occidente dovrebbe ricordare che nei primi due anni di guerra, quando era chiara a tutti la responsabilità soverchiante del regime e gli oppositori potevano in gran parte essere considerati amici o alleati, si decise di non intervenire perdendo poi progressivamente il controllo delle formazioni anti-Assad (a beneficio anche dell’Isis)”. Certo, “le brutte esperienze dell’Irak, dell’Afghanistan e della Libia post-2011 hanno sicuramente avuto un peso sulla paralisi occidentale”. Ma adesso, rimarca ancora l’editorialista, “è troppo tardi”. Nel frattempo gli uomini di al Baghdadi hanno accresciuto la loro forza, nonostante le iniziative condotti. “Gli unici che l’hanno efficacemente contenuto – dice ancora Venturini – sono stati i Peshmerga curdi e le milizie sciite patrocinate dall’Iran. A terra. Ma dall’aria i bombardamenti della coalizione guidata dagli USA, tanto in Irak quanto in Siria per chi partecipa, non sono andati oltre un risultato di parziale contenimento”.

IL DISASTRO DEI RIBELLI

Non è tutto. Oltre al disastro strategico (e a quello umanitario), mette in evidenza su Repubblica Federico Rampini riprendendo il New York Times, “c’è la débacle dei ribelli che avrebbero dovuto prima combattere Assad, adesso contrastare lo Stato Islamico. L’America li addestra da un anno e ammette: con risultati pessimi”. Come ha posto in luce il quotidiano della Grande Mela, “la Casa Bianca e il Pentagono – spiega ancora il giornale diretto da Ezio Mauro – sono preoccupati per «la pesante indaguatezza» dei ribelli che dovrebbero sul campo combattere l’avanzata jihadista in Siria”.



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