Mancava l’ufficialità – e in un certo senso manca ancora – ma l’inchiesta del Pentagono sulla presunta manipolazione dei rapporti preparati dagli uomini dei Servizi da parte dei vertici militari dello Us Central Command (Centcom), che coordina le operazioni americane contro lo Stato Islamico in Iraq e in Siria, potrebbe confermare i timori della vigilia.
LE ANTICIPAZIONI DELLA STAMPA USA
Del caso s’è occupato per primo il New York Times, che già il 25 agosto scorso aveva raccontato l’apertura, da parte del Pentagono, di un’inchiesta interna a seguito delle lamentele di alcuni analisti, che sostenevano che i loro report, alcuni dei quali posti al vaglio di Barack Obama, fossero stati modificati da alcuni superiori prima di finire sulla scrivania presidenziale, dando l’idea che l’Isis fosse più debole di quanto non lo sia realmente. Pochi giorni dopo, il Daily Beast svelò nuovi dettagli, rendendo noto che gli stessi analisti avevano inviato all’ispettore generale del dipartimento della Difesa un reclamo scritto, appoggiato da 50 colleghi. Ora altre notizie: sempre secondo il quotidiano della Grande Mela – che il 15 settembre citava varie fonti dell’amministrazione -, gli analisti avrebbero consegnato agli investigatori del Pentagono documenti che dimostrerebbero le accuse, dando di fatto un’accelerata decisiva all’inchiesta.
L’INDAGINE
Proprio in questo momento, racconta la stampa americana, l’ispettore generale del Pentagono, che esamina le accuse, si sta concentrando su figure di lato livello dell’intelligence, che presso il Centcom dirigono decine di analisti militari e civili. Una pista confermata anche da Bridget Serchak, portavoce dell’ispettore del Pentagono (ripresa anche dall’Atlantic, che fa il punto della situazione). “L’inchiesta – ha detto la funzionaria – chiarirà se ci siano state falsificazioni, distorsioni, ritardi, soppressioni o modifiche improprie di informazioni d’intelligence”, sottolineando che verrà esaminata “ogni responsabilità personale per qualunque comportamento inadeguato o incapacità di seguire i procedimenti stabiliti”. La situazione è quanto mai delicata e le accuse, già di per sé gravi, metteranno certamente in difficoltà già oggi il generale Lloyd Austin, comandante in capo del Comando, che dovrà parlare al Senato proprio della campagna militare contro i jihadisti dell’Isis.
LE POLEMICHE SUI RISULTATI
Per il momento – come anticipato giovedì scorso da Formiche.net – non si ha notizia di reazioni ufficiali (forse in attesa che si concludano le verifiche interne), ma per la Casa Bianca e il Pentagono dall’onda lunga di questa storia potrebbero nascere problemi, viste alcune critiche, per ora minoritarie ma strumentalizzate dal Cremlino. Ad essere sotto accusa è il divario tra gli annunci sui risultati ottenuti – spesso considerati eccessivamente entusiastici dagli esperti – e la situazione sul campo mediorientale, dove si sono consumate anche sconfitte che bruciano, a Mosul, Falluja o Ramadi, per esempio, costringendo gli Stati Uniti a rivedere in parte la loro strategia nei teatri siriano e iracheno (qui alcuni numeri dell’operazione della coalizione internazionale anti Isis). E il Nyt, tra le altre cose, si chiede quanto queste presunte informazioni sbagliate abbiano potuto fuorviare le scelte di Obama nello scegliere la strategia per affrontare i drappi neri, lasciando intendere alla Casa Bianca che si erano ottenuti progressi che in realtà non erano veri.
L’ANALISI DI MARGELLETTI
Se tutto ciò fosse confermato, non ci si troverebbe comunque davanti a una novità assoluta. “C’è stato almeno un caso eclatante dove le pressioni politiche hanno piegato le valutazioni dell’analisi d’intelligence – dice a Formiche.net Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali – e questo caso è stato quello delle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein nel 2002-2003″. Per l’esperto, “quando i tecnici – intelligence o mondo militare – non pensano a dare le loro valutazioni al politico, ma a compiacerlo, il rischio di piegare le valutazioni a interessi di sorta è elevatissimo”. Il tema è semplice: “Chi serve le istituzioni – spiega ancora Margelletti – non serve una persona, ma l’istituzione. Quando invece ci si dimentica di servire l’istituzione, ma si serve una persona, magari anche per avere vantaggi personali, i risultati non sono mai buoni”. Questo tipo di atteggiamento, secondo il presidente del Cesi, “è stupido oltre che criminale”, perché “quando si dice al politico che fuori è sereno, alla fine succede che questo esca e si inzuppi”. Ed è per questo, conclude Margeletti ipotizzando i possibili sviluppi del caso, “che alla fine, quando il politico si stanca dei servi, cerca chi gli dia le previsioni meteorologiche giuste”.