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Il Senato alla Renzi sarà un boomerang per Renzi. L’intervento di Carlo Fusi (Italia Unica)

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Lo scontro al Senato sulla riforma costituzionale è in pieno svolgimento e, come amava dire un ex ministro berlusconiano, è di quelli nei quali chi vince non farà prigionieri. È probabile che alla fine Matteo Renzi riesca a far approvare il provvedimento nella versione che fin qui ha mostrato di preferire: senza modifiche. In ogni caso, comunque si concluda, la vicenda si presta ad alcune considerazioni di fondo.

La prima. Poiché la divaricazione in seno al Pd tra renziani e minoranza non appare riassorbibile, la modifica costituzionale più importante dal dopoguerra ad oggi, quella che – almeno nelle intenzioni: nel pratica vedremo… – abolisce il bicameralismo perfetto come disegnato dalla Costituente, verrà approvato da una parte, unicamente da una parte del Parlamento. Cioè di fatto dal solo Pd (ma non tutto) con l’appendice di Ncd-Udc (ma non tutta). Più qualche apporto, diciamo così, spurio: l’ex braccio destro di Berlusconi, Denis Verdini; i seguaci del sindaco di Verona, Flavio Tosi, scappato dalle grinfie di Salvini per finire nelle fauci di Renzi (un affare?); magari qualche fittiano in acrimonia con l’ex Cavaliere. Il che vuol dire che le modifiche alle regole del gioco politico, legge elettorale compresa; quelle cioè che dovevano contraddistinguere la legislatura e che, a dispetto del passato, stavolta era indispensabile arrivassero al traguardo assolutamente condivise, arricchite del massimo di consenso possibile, e per realizzare le quali si era costituito il patto del Nazareno, vero e proprio accordo tra statisti contro i “barbari” anti-sistema grillini e leghisti, risulteranno alla fine licenziate con praticamente la metà delle forze politiche rappresentate in Parlamento che esprimono voto contrario. Rispetto alle premesse, e se non fosse una cosa dannatamente seria, sembrerebbe di stare su Scherzi a parte.

La seconda. Comunque vada, l’esito del voto sulle riforme consegnerà un Pd, partito di maggioranza relativa e pilastro del sistema politico di questa fase, indebolito perché una parte di esso avrà subíto una sconfitta forse definitiva. Renzi sbandiererà la sua vittoria, numerica e politica. È legittimo. Ma comunque sarà impossibile negare che il baricentro su cui si regge il prosieguo della legislatura risulterà incrinato. Più si andrà avanti più il copione sarà Renzi vs Resto del mondo (politico. O non solo?). Uno di quegli scenari che il presidente del Consiglio ed il suo inner circle prediligono.

Il punto però è che c’è di mezzo l’assetto del sistema italiano ed il meccanismo di bilanciamento del potere: legge elettorale e riforma costituzionale a questo fanno riferimento.

Sono più che note le critiche a quest’insieme di considerazioni. La più importante delle quali, anche in queste ore ripetuta dal premier, è che arrivano finalmente al traguardo riforme attese da decenni, proprio quelle che la politica finora non era riuscita a fare e che invece adesso trovano compimento, che ripensare il merito dei provvedimenti ne avrebbe inevitabilmente bloccato il cammino, riportando tutto alla casella di partenza di un esiziale gioco dell’oca.

Penso sia legittimo avere dei dubbi su questa impostazione. Non è affatto vero che quelle già approvate (Italicum) o in via di approvazione (riforma Senato) fossero le uniche possibili. O tantomeno le più realistiche, le sole sulle quali è risultato possibile costruire una intesa ampia e, come si dice, bipartisan. Intanto perché, come visto, di bipartisan non c’è nulla e i testi arrivano al traguardo con appena i voti di maggioranza, arricchiti di apporti non organici. Poi perché c’erano altre soluzioni “potabili”, scartate a favore di queste sulla base di un preciso disegno, di una decisa scelta. Quella di creare un meccanismo in grado di consegnare un potere enorme – con scarsi o nulli bilanciamenti che invece sono l’essenza della democrazia – nelle mani di una sola forza politica e, in ultima analisi, di un uomo solo. Non c’è alcuna casualità o ragione di forza maggiore. C’è al contrario un obiettivo esplicito perseguito con palese determinazione e noncuranza per strade alternative.

Chi lo ha fin qui inseguito, se ne assume la responsabilità di fronte al corpo elettorale. Di più: dovrà spiegarlo ai cittadini nel referendum confermativo, rivendicandone la paternità e la bontà degli effetti ai fini dell’ammodernamento delle istituzioni italiane. Con onestà mentale e personale. Idem chi si schiererà contro, spiegando come e perché ha cambiato idea in corso d’opera passando dal sì incondizionato pronunciato nella sede del Pd alle barricate dei seggi del no referendario.

Ultima annotazione. È stucchevole chiamare in causa a ogni piè sospinto il capo dello Stato; è improprio il richiamo ai suoi doveri di terzietà fatto da chi è parte in causa, è fuorviante gridare al vulnus democratico da parte di chi un giorno sì e l’altro pure vellica le pulsioni anti sistema di parte della società italiana. Tuttavia quando si parla di cambiamenti costituzionali un soprassalto di prudenza non è mai nocivo. L’articolo 138 della Carta, che appunto ne norma le possibili modifiche, impone non a caso un iter particolarmente lungo. Le logiche dei tweet, fortunatamente, erano estranee ai costituenti.

Carlo Fusi (giornalista, responsabile media di Italia Unica)


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