Pur affollati di retroscenisti, veri o presunti, ai giornali è mancata la curiosità di informarsi, e informare i lettori, sulle ragioni dell’ottimismo mostrato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nella sua visita a Vienna, con il collega austriaco preoccupato delle tensioni politiche a Roma sulla riforma del Senato. E del rischio di una crisi di governo. Si aggiusterà tutto, lo ha rassicurato l’ospite.
Delle due, l’una. O Mattarella, magari fidandosi dei calcoli e dei ragionamenti fattigli personalmente dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha la convinzione di una tenuta della maggioranza, con i dissidenti neutralizzati nelle votazioni più pericolose dal soccorso di ex grillini, ex leghisti, ex berlusconiani, o anche di berlusconiani segretamente autorizzati dal loro leader ad aiutare il governo, magari limitandosi a non partecipare alle votazioni per abbassare il cosiddetto quorum. O Mattarella, non fidandosi per antica esperienza parlamentare di certi calcoli a tavolino affidati dal presidente del Consiglio di turno a collaboratori incauti, come capitò a Romano Prodi nel 1998 e nel 2008 cadendo rovinosamente per le scale di Palazzo Chigi, ha un suo piano per neutralizzare gli effetti di clamorosi incidenti parlamentari.
Il piano di Mattarella è intuibile dalla contrarietà che gli è già stata attribuita in estate, senza smentite di sorta e con tanto di virgolette, a soluzioni “acrobatiche” di una eventuale crisi di governo. Intendendosi per acrobatiche sia le elezioni anticipate, reclamate o minacciate dagli amici di Renzi con poco rispetto per le prerogative del capo dello Stato, sia il ricorso a formule strane di maggioranza, incoerenti con la stabilità imposta dalle difficoltà internazionali e da una ripresa economica ancora troppo debole per farci considerare davvero fuori dalla crisi. Tutto questo per non parlare dello scenario allucinante di un rinnovo del Parlamento, a bicameralismo ancora paritario, con la vecchia legge elettorale decapitata del premio di maggioranza dalla Corte Costituzionale, riguardando quella nuova solo la Camera e non potendo essere applicata prima dell’estate prossima.
Se Renzi si dimettesse, Mattarella semplicemente lo rinvierebbe alle Camere. Dove la minoranza dissidente del Pd gli confermerebbe la fiducia, avendo già escluso l’obbiettivo della crisi nei tentativi di modificare la riforma del Senato.
(RENZI E GRASSO, LE FOTO PIU’ GLACIALI. ARCHIVIO PIZZI)
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Un rinvio alle Camere consentirebbe a Renzi, dopo avere onorato le promesse o minacce di crisi avanzate nel braccio di ferro con i dissidenti della maggioranza, di allinearsi infine per senso di responsabilità alle valutazioni e indicazioni del capo dello Stato per proseguire la sua azione di governo di fronte ad una rinnovata e motivata fiducia parlamentare. Un governo che, magari, il presidente del Consiglio profitterebbe dell’occasione per rimpastare, come si dice in gergo tecnico, con nuove nomine e sostituzioni tonificanti.
E la riforma del Senato eventualmente azzoppata dai tacchini per niente smaniosi di finire nei menù natalizi? Ci sarebbero ancora due anni e mezzo di legislatura, sino al 2018, per riprenderne e migliorarne il percorso. Certo, come dicono Renzi e la sua ministra di fiducia Maria Elena Boschi, sono passati tanti anni in attesa di una riforma del bicameralismo, ma è meglio tardi che mai, intendendosi per tardi qualche altro mese in più per tagliare il traguardo.
(CHI C’ERA CON MARIA ELENA BOSCHI ALLA FESTA DEL SIGARO TOSCANO. FOTO DI PIZZI)
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Meglio tardi che mai anche per alleggerire certa magistratura italiana del peso procuratosi con la pratica dell’antiberlusconismo. C’è qualcuno che riesce a fare anche peggio. E’ il governo ucraino, che senza bisogno di alcun processo ha dichiarato l’ex presidente del Consiglio italiano “persona non gradita” e gli ha chiuso le frontiere per tre anni.
La colpa di Berlusconi è di essere andato in Crimea in compagnia di Putin. Non gli è stata riconosciuta l’attenuante di avere onorato la memoria dei soldati piemontesi caduti in quella terra a metà dell’Ottocento per procurare ai Savoia le credenziali internazionali necessarie al completamento del Risorgimento italiano. L’aggravante è di avere bevuto con Putin un antico sherry del valore di 130 mila euro a bottiglia. Spreconi.