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Così il Pd di Renzi e Lotti vuole distribuire i fondi statali all’editoria

Istituzione di un fondo pluriennale per favorire il pluralismo e l’innovazione dell’informazione, deleghe al Governo per la revisione del sistema di sostegno all’editoria, immediata operatività della disciplina dei contributi ai giornali.

Il Partito Democratico, dopo un lungo lavoro in Commissione Cultura, ha presentato un disegno di legge che sfida quello del Movimento Cinque Stelle destinato ad approdare lunedì nell’Aula di Montecitorio.

La proposta grillina, presentata nel gennaio del 2014, che punta a smantellare finanziamento pubblico, ha costretto anche la Commissione Cultura a un ciclo corposo di audizioni tra editori, giornalisti e specialisti del mondo dell’informazione.

Così il Pd ha sentito la necessità di non lasciare il campo solo all’iniziativa dei pentastellati e con i deputati Roberto Rampi e Maria Coscia ha presentato una proposta (firmata anche da Alessia Rotta, Flavia Piccoli Nardelli, Tamara Blažina, Irene Manzi, Lorenza Bonaccorsi e Anna Ascani) che di fatto abbraccia l’intero settore dai finanziamenti al pluralismo, dalla distribuzione alla richiesta di liberalizzazione della vendita dei prodotti, ovvero di come rendere più moderno il modello, tutto italiano, delle edicole.

La proposta di legge, articolata in 5 articoli, elaborata con il sottosegretario della Presidenza del Consiglio Luca Lotti che ha la delega della materia, prova a rimettere ordine in un comparto in difficoltà: le copie vendute dei giornali sono scese sotto la soglia fatidica dei 4 milioni (-22% nell’ultimo quinquennio) con il crollo nell’ultimo anno degli investimenti pubblicitari: -26% per i quotidiani -23% per i periodici (dati Fieg).

Ecco perché – secondo il partito guidato da Matteo Renzi – si vuole mantenere vivo un Fondo per il pluralismo e l’innovazione della durata di 5 anni (2016-2020) che continuerà ad alimentarsi con “risorse statali” ripartite ogni anno con un Decreto del Presidente del Consiglio o del sottosegretario delegato che individua anche i criteri su come dividere le risorse alle diverse imprese editrici.

Resta confermato – si legge – “l’attuale impianto che vede come destinatari dei contributi le imprese editrici costituite come cooperative giornalistiche e gli enti no profit, fatte salve esplicite eccezioni per particolari tipologie di pubblicazioni”.

C’è comunque una novità non da poco perché è previsto che siano ammesse al finanziamento le sole aziende che, in possesso degli altri requisiti di legge, esercitano – si legge – “una attività informativa autonoma e indipendente, di carattere generale che concorra a garantire il diritto dei cittadini ad essere informati da una pluralità di fonti”. In pratica – e viene esplicitato nella proposta di legge – si prevede “l’esclusione del finanziamento degli organi di informazione dei partiti, dei movimenti politici e sindacali, dei periodici specialistici a carattere tecnico, aziendale, professionale o scientifico e, comunque di quelli che non contribuiscono in modo prevalente alla formazione informativa di carattere generale in materia politica, economica e sociale”. Tradotto vuol dire addio soldi ai giornali di partito e a tutti quei rami secchi dell’editoria che hanno vissuto per anni grazie al contributo pubblico.

Ma non solo. C’è un altro passaggio significativo che cerca di agganciare la trasformazione tecnologica in atto nel mondo dell’informazione, ovvero lo sviluppo delle testate online che non vengono più considerate figlie di un Dio minore, semmai costringono i giornali cartacei a compiere il passo lungo dell’informazione digitale. Infatti uno dei criteri per accedere ai finanziamenti statali è “l’introduzione del passaggio all’edizione in formato digitale della testata, anche eventualmente in parallelo con l’edizione in formato cartaceo, come condizione necessaria per ricevere i finanziamenti”. Sono previsti, quindi, incentivi a sostegno degli investimenti in innovazione digitale “anche attraverso la previsione di modalità volte a favorire investimenti strutturali in piattaforme digitali avanzate, comuni a più imprese editoriali, autonome e indipendenti”.

“La domanda da porsi è se le informazione sono un prodotto o è un servizio”, ha spiegato il deputato piddino Roberto Rampi: “Per noi – ha aggiunto – è un servizio essenziale della democrazia e il pluralismo dovrebbe avere la dignità di essere sostenuto dove non ci sono le condizioni affinché una voce libera possa vivere solo di risorse private. Poi certo che il sostegno deve essere efficace e concesso a chi ha un pubblico, a chi viene davvero letto, con un’attenzione al territorio, alle piccole realtà”.

LEGGI LA PROPOSTA DI LEGGE DEL PD

SPECIALE FORMICHE.NET SU FONDI STATALI E INCENTIVI PUBBLICI


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