I grillini imbavagliati per protestare contro la legge sull’intercettazione segnalano un degrado del Parlamento italiano che ebbe inizio con i leghisti quando issarono il cappio contro Craxi.
Non stupisce il fatto che gran parte dei giornali non avvertano questo degrado. Stupisce, invece, che un quotidiano come la Repubblica non solo considera queste manifestazioni come segno di dissenso ma avalla le posizioni di quei giornalisti i quali dichiarano che solo le intercettazioni senza limiti consentono di fare inchieste sulle magagne di certi settori della politica.
Ma mi chiedo e chiedo: le grandi inchieste de l’Espresso come anche quelle de l’Unità e di altri giornali, sulla mafia, sul banditismo, sui Comuni di Roma, Napoli, Palermo, sulla Federconsorzi, sull’opera del generale Di Lorenzo e di Segni nel 1964 (Scalfari e Jannuzzi finirono imputati per le loro inchieste), su Sindona, sulla P2, eccetera, si fondarono forse sulle intercettazioni? Niente affatto.
La verità è che oggi le “inchieste” giornalistiche si fanno con il culo sulla sedia e con la lettura delle intercettazioni che transitano dai tavoli di alcuni pm a certe redazioni. È, forse, questo il giornalismo d’inchiesta che un grande giornale come la Repubblica deve difendere?