Mentre da New York, il primo ministro, Matteo Renzi, annuncia per novembre la prima visita ufficiale in Italia del presidente iraniano, Hassan Rohani, dall’accordo di Vienna, si intensificano gli sforzi economici della Repubblica Islamica. Il viceministro del petrolio, Mansoor Moazami, ha dichiarato all’agenzia di stampa Irna che le esportazioni di greggio potrebbero aumentare di un milione di barili al giorno già sei mesi dopo l’alleggerimento delle sanzioni. Ma per Teheran gli scenari di crescita economica non dipendono solo dal greggio.
Come riporta il giornale britannico Guardian, per la prima volta in cinquant’anni, i ricavi ottenuti dal petrolio sono inferiori a quello che al contrario il governo riesce a recuperare da tasse e iva sui commerci. A dirlo è stato il vice direttore generale della National Iranian Oil Company (Nioc), Ali Kardor, che però ha anche ricordato come la sua compagnia intenda aprire nei prossimi mesi una serie di contratti molto importanti per attrarre investimenti esteri. Si tratta di una cinquantina di progetti sia onshore che offshore. Tra i gruppi energetici favoriti c’è ovviamente l’Eni, che da Teheran ha appena ottenuto un rimborso da 400 milioni di dollari, derivante da vecchi contratti che la Repubblica Islamica aveva dovuto congelare a causa delle sanzioni.
Palazzo Mattei si sta poi occupando dello sviluppo del giacimento onshore di Darkhovin, nella parte sud occidentale del Paese, per aumentare l’outpout produttivo di 160 mila barili di greggio al giorno. Anche in occasione dell’annuncio della visita di Stato a Roma, la stampa iraniana non ha mancato di rilanciare sulle prospettive di maggior cooperazione tra i due Paesi.
Tuttavia, nel nostro Paese l’accordo raggiunto a Vienna sul nucleare iraniano fa ancora discutere. Di questo tema si è parlato di recente in occasione dell’incontro “Iran verso l’accordo: opportunità o minaccia?”, organizzato dal Centro Studi Democrazie Digitali. Secondo Abdulateef Al-Mulhim, giornalista di Arab News, dietro il riavvicinamento tra Occidente e il regime degli ayatollah persistono ragioni speculative più che elementi strategici, mentre per Gianni Vernetti, presidente del Center For International Studies, “l’Iran continua a rappresentare una sfida esistenziale per Israele, unica democrazia in Medio Oriente, ed una minaccia alla stabilita di tutta l’Europa e il Medio Oriente”.