Il Senato si rinnova. Come ti sconquasso l’ordinamento istituzionale.
Potrebbe essere questo il titolo del film che racconta gli anni di governo in Italia dal 1994 ad oggi, cioè tutta l’epoca della “seconda repubblica”.
Prima le famose leggi Bassanini, indi quelle sul titolo V della Costituzione del 2001, dulcis in fundo, le norme introdotte per l’attuazione del cosiddeto federalismo e del federalismo fiscale.
I vari governi succedutisi in questo tempo si sono riempiti il petto, assicurando agli italiani meno tasse, più crescita, maggiore sviluppo, diffuso benessere. Alla fine non ne hanno indovinata una sola, la crescita c’è stata, ma solo della povertà dell’intero Paese. Senza dire dell’enorme contenzioso amministrativo, giuridico ancora aperto tra enti locali, regioni, governo centrale e cittadini. E nessuno ne parla.
Il dibattito che si sta svolgendo sulla riforma del Senato a palazzo Madama, proposta dal governo, sta chiarendo ormai che si tratta di un vero e proprio pastrocchio. I pareri dei tanti esperti e intellettuali dimostrano che questo nuovo Senato, disegnato dal duo Renzi-Boschi sull’esempio di un dopolavoro per consiglieri regionali, è da cestinare. Meglio la sua abolizione.
Poco convincente anche l’ultima revisione che vedrebbe i senatori designati dal popolo e ratificati dalle assemblee regionali. Il finto e virtuale consenso, costruito attorno a questa riforma dai grandi mezzi di informazione proditoriamente, sta producendo false adesioni e acritiche assuefazioni, senza valutare i danni che potrà causare una volta riformata la legge.
Abolito il voto popolare per le province, ridotti i poteri delle regioni, scomparso il Senato, accorpati i comuni, approvata la nuova legge elettorale per la Camera (Italicum) emerge una preoccupante riduzione degli spazi di democrazia.
Si potrebbe serenamente affermare che un importante pezzo della Costituzione è già saltato, perchè i principi ispiratori che dettero vita alla Carta nel 1948 erano tutti incentrati sulla partecipazione.
Renzi oggi invece sta abolendo il voto popolare, principio fondamentale per garantire la libertà. Il bulletto fiorentino conosce poco la storia, non ricorda che un paio di secoli fa nella vicina Francia lo scontro tra i fautori del “voto per ordine” e gli oppositori che lo volevano “per testa” produsse una cruenta e sanguinosa rivoluzione durata circa un decennio che portò alla ghigliottina i reali francesi.
Il capitolo riforme deve essere funzionale alla costruzione di uno Stato moderno ed efficiente, più democratico, attraverso una sempre maggiore partecipazione dei cittadini, invece, si sta solo distruggendo ciò che con pazienza e fatica certosina la Costituzione del 1948 ci ha consegnato.
L’azione del governo confusa, senza stella polare, priva di una visione globale e complessiva del progetto riformatore crea serie preoccupazioni in chi individua in questo procedere una sconsiderata aggressione alla nostra forma di democrazia, ribaltando, nella sostanza, il ruolo dei poteri: non più l’esecutivo sottoposto al controllo del parlamento, ma il contrario. Non a caso si spera in una decisa azione del Presidente del Senato Pietro Grasso, dichiaratosi contro il massacro della Costituzione.
Egli è stato sempre scettico nei confronti dell’idea di un senato ridotto da seconda Camera a grazioso orpello istituzionale, costituito da un po’ di figure elette nelle autonomie locali, e allo stato ignote. La tesi del professore Sartori è a tale proposito molto eloquente: il senato che verrà dalla riforma è “orribile e rischia di essere inagibile”, tesi giustissima condivisa dai migliori intellettuali costituzionalisti. L’elezione diretta non va eliminata, servono modifiche su ruolo e funzioni della camera Alta, non altro. Il sistema di elezione non deve essere stravolto.
A proposito del Senato si prende spesso ad esempio il sistema democratico USA, si vadano allora ad analizzare i poteri del Congresso (Senato e Camera dei Rappresentanti), quello legislativo appartiene a entrambe le Camere, solo il senato, invece, può proporre e approvare provvedimenti fiscali, finanziari, economici. Il senato americano, quindi, ha poteri rilevanti e non secondari come si evince da una rapida consultazione dell’organizzazione istituzionale degli USA.
La riforma delle istituzioni dello Stato deve concludersi nel migliore dei modi, ma in un quadro coerente, globale e armonico delle diverse funzioni, al centro come in periferia. Efficienza e spessore politico sono indispensabili. Le riforme non possono essere utilizzate dai partiti per fare propaganda ma devono essere approvate, per far funzionare adeguatamente lo Stato, in rapporto alle evoluzioni intervenute nella società.
Duole molto che Renzi e il suo governo presentino riforme, prima le province e adesso il Senato, con tanta leggerezza, banalizzando addirittura istituzioni antiche, storiche, che in ogni epoca, dall’antica Grecia ad oggi, hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nella vita dei popoli.