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Giorgio Israel, il matematico ebreo che amava l’Europa

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Gianfranco Morra apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

A I , così Platone aveva scritto sulla porta della sua scuola, l’Accademia: «Chi non è geometra (matematico) non entri».

Il primo che avrebbe lasciato entrare si chiamava Giorgio Israel, che l’altro giorno per l’ultima volta ci ha prematuramente e, come sempre, dolcemente salutato. Insegnava matematica alla Sapienza di Roma, ma era nel senso etimologico un vero filo-sofo, un innamorato della saggezza. Egli è sempre stato un campione della cultura europea, della quale sapeva sintetizzare le tre valenze fondamentali.

Senza dubbio quella greca, la scoperta del logos. Un culto della ragione ch’egli tradusse in insegnamento esemplare, in tanti scritti scientifici e in affascinante divulgazione culturale. Un culto da cui derivava la sua indipendenza e la sua tolleranza. Eppure ebbe non poche aggressioni, la più scoppiettante fu quella del collega matematico Giorgio Odifreddi, noto scienziato «progressista» impegnato nella propaganda ateistica (cfr. Perché Dio non esiste, 2010). Questi era stato insignito del premio Peano per la matematica, che già Israel aveva avuto. Fu proprio ciò che lo indusse a rifiutarlo: «Israel è un virulento, un intellettuale da nicchia, una testa calda, un vittimista ebreo».

Poi la religione biblica. Figlio di un sefardita di Salonicco, era nato a Roma nel 1945. Ebreo certo, ma non vittimista. Quando fu presentato il progetto di punire penalmente i negazionisti della shoà, egli (come altri intellettuali israeliti, anche di sinistra, Bauman e Della Seta in testa) vi si oppose: negare Auschwitz era una cretinata, ma non meno lo era punire la libertà di espressione, anche quando fosse male usata. Era un alibi della nostra cultura di regime: una condanna sterile e controproducente dell’antisemitismo per giustificare un diffuso antisionismo filopalestinese (duce D’Alema, ammiratore di Hamas). Israel aveva capito che l’antisionismo non colpiva solo Israele, ma tutto l’occidente. Lo scrisse più volte e ricevette non poche minacce di morte. Nel silenzio interessato dei media della sinistra. Mentre ItaliaOggi, più volte, si schierò dalla sua parte.

Dell’ebraismo divulgò in un prezioso libro la più profonda corrente mistica: La Kabbalah (Il Mulino, 2005). E ne mostrò l’influenza sulla filosofia, a partire dall’umanesimo di Ficino e Pico della Mirandola sino a Giordano Bruno e Spinoza, ma anche sulla scienza moderna, in particolare su Newton: «Il pensiero kabbalistico è stato una componente essenziale del pensiero moderno europeo» (p. 124).

Infine la tradizione cristiana, che di quella ebraica è la continuazione, se non il compimento. Egli vedeva nel cristianesimo il più potente collante dell’unità europea. Più volte si schierò contro l’aborto, l’eutanasia e le manipolazioni genetiche. Nel gennaio 2008 la sua università aveva invitato a parlare papa Benedetto XV, poi i padroni della «Sapienza» glielo avevano impedito. Israel difese Ratzinger, docente di università tedesche laiche, che doveva, come ogni altro uomo, essere libero di esprimersi: «Gli intellettuali di sinistra a parole ripetono con Voltaire che occorre battersi perché ciascuno possa dire il contrario di ciò ch’essi pensano, ma poi trionfa il loro fanatismo ideologico».

Questa fedeltà ai valori greco-ebraici-cristiani dell’Europa lo portò a comprendere il fallimento del nostro sistema di educazione. Oggi, mentre trionfa una scienza per lo più meccanicista nel metodo e utilitarista nei fini, la cultura umanistica viene trascurata e marginalizzata.

È un errore. Il vecchio alunno del liceo Visconti di Roma non credeva alla separazione delle due culture e riteneva, anzi, che proprio il predominio della tecnoscienza richiedeva un potenziamento della tradizione umanistica, non in senso strettamente filologico, ma antropologico. Per difendere quei margini di razionalità e di libertà che si stanno facendo sempre più stretti. Proprio mentre un male crudele ce lo ha tolto, arriva in libreria una sua vivace difesa dell’educazione europea: Abolire la scuola media? (Il Mulino, pp. 120, euro 11).

Un conservatore, dunque? Senza dubbio, che sapeva trarre dall’insegnamento del passato uno stimolo per reagire alle banalità del presente e per proporre un rinnovamento nel futuro. Nel solco della intuizione di Tocqueville: «Poiché il passato non illumina più l’avvenire, lo spirito avanza nelle tenebre».



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