In superficie è stata una polemica fra Romano Prodi e Matteo Renzi, ma sott’acqua è stato un scontro fra Eugenio Scalfari e il presidente del Consiglio.
Tutto comincia venerdì, quando Scalfari si ripropone ai lettori della sua Repubblica nelle vesti di intervistatore, riferendo di un colloquio privato avuto due giorni prima con Prodi. Ma che ha deciso di pubblicare a sua insaputa, comunicandoglielo solo all’ultimo momento, con un messaggio di posta elettronica, come ha poi raccontato sulla Stampa Fabio Martini, quando tutto era già in pagina, come si dice in gergo tecnico mentre si avviano le rotative.
Prodi, ansioso, si fa portare a casa il giornale di prima mattina e lì per lì gradisce, vedendosi descrivere da Scalfari come “un atlante storico e geografico del mondo intero, un mappamondo che gira mari, monti e paludi”. Tutto sommato, gradisce anche la contrapposizione a Obama nel passaggio sulla Siria, dove il presidente degli Stati Uniti è invitato da lui a “rassegnarsi” a tenersi il dittatore Assad nella lotta al Califfato dei tagliagole. Un Assad peraltro che dopo qualche giorno annuncerà di essere disposto anche a farsi da parte se risulterà un problema sulla strada dell’attacco finale e decisivo ai macellai che hanno messo a ferro e a fuoco anche la sua terra.
Prodi gradisce un po’ meno, conoscendo la permalosità di Renzi, pari forse solo alla sua, la pubblicazione delle parole pronunciate con Scalfari per descrivere il presidente del Consiglio impegnato ad arrogarsi anche i meriti di Mario Draghi, alla guida della Banca Centrale Europea, nei tentativi di fare uscire l’Italia, con l’Europa, dalla crisi economica che l’attanaglia da tempo.
Ancor meno Prodi gradisce la pubblicazione della ulteriore polemica con Renzi nella quale Scalfari lo ha trascinato facendogli lui una domanda incalzante, dopo che il suo interlocutore si era limitato a chiedersi che cosa il presidente del Consiglio pensasse del progetto degli Stati Uniti d’Europa. Scalfari è convinto che Renzi non lo condivida, preferendo una Unione Europea federale, in cui i governi nazionali conservano i loro poteri. E lui, Prodi, gli è andato dietro aggiungendovi, di suo, una critica alla “singolare collera” di Renzi contro i rilievi e i moniti di Bruxelles e Berlino sul suo proposito di detassare le prime case per tutti e per sempre.
(TUTTI GLI ULTIMI FACCIONI DI PRODI VISTI DA UMBERTO PIZZI)
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Oltre a Prodi, che avrebbe forse preferito esporre con altre parole il suo pensiero, non gradisce Renzi. Che profitta della prima occasione, offertagli dalla stessa Repubblica con una intervista di Claudio Tito, per reagire. Lo fa quando, pur interrogato sulla parte della chiacchierata di Prodi con Scalfari riguardante la Siria, che c’entrava poco o per niente nei rapporti fra lo stesso Prodi e Renzi, lamenta l’abitudine diffusa in Italia di trattare con “miopia” gli affari di politica estera, pensando al “titolo del giorno dopo”, cioè puntando a “come si esce sui media, non dalle crisi”. Tò, tieni e porta a casa, deve avere pensato il fiorentino.
Prodi reagisce comunicando o facendo comunicare a Renzi le modalità dell’intervista. E Renzi, resosi conto della vera paternità delle critiche, diffonde un comunicato per precisare che i giudizi da lui espressi a proposito dell’uso dei giornali in politica “non si riferivano in alcun modo a Prodi”. Come per dire: ce l’ho con Scalfari.
(LE FOTO DI PIZZI PER I 90 ANNI DI EUGENIO SCALFARI)
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Alle reazioni di Renzi all’intervista di Prodi il fondatore di Repubblica risponde nei suoi tempi e modi. Tempi immediati, nelle abituali riflessioni domenicali, e modi un po’ curiosi, ignorando completamente la precisazione del presidente del Consiglio praticamente assolutoria per Prodi e rilanciando una polemica ormai smontata fra i due.
Scalfari, in particolare, oppone alle informazioni internazionali “di prima mano” di Prodi quelle di seconda, terza, quarta mano di Renzi. Del quale confida di occuparsi con “noia”, giusto per dovere professionale. E lo descrive, bontà sua, non come il “dittatore” in erba avvertito da altri, fra i quali Piero Ostellino e Giampaolo Pansa, ma come uno che vuole comandare “da solo” e avere a che fare con un Parlamento “dominato”. Se non è pane, mi sembra, è pan bagnato, addolcito con il proposito attribuito a Renzi di piacere a tutti, da cui la definizione di “Piacione”. Che fu già di Francesco Rutelli, chiamato festosamente anche “Cicciobello”, quand’era sindaco di Roma. Altri tempi, certo, da quelli attuali del piccione viaggiatore Ignazio Marino.
Renzi tuttavia è un piacione strano, che si arrabbia pericolosamente – sostiene Scalfari – quando non riesce a “farsi amare”. Un piacione tuttavia che non mi sembra molto interessato a piacere, per esempio, a Susanna Camusso, a Massimo D’Alema, appena sfottuto sull’Unità dal renzianissimo ed ex dalemiano Fabrizio Rondolino dileggiandolo anche come cuoco, a Renato Brunetta, a Matteo Salvini, a Beppe Grillo, al presidente dell’associazione dei magistrati Rodolfo Sabelli, al già citato Marino. E neppure a Scalfari, bastandogli forse di piacere come “figlio della modernità” al suo editore Carlo De Benedetti, oltre che a Sergio Marchionne, naturalmente.