Gli investimenti in difesa tra Usa e Italia, i ritorni industriali, le minacce comuni alle due sponde dell’Atlantico e la visita del sottosegretario alla Difesa Ashton Carter nella Penisola.
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Ecco alcuni dei temi analizzati da Formiche.net in una conversazione con Patrick Dewar (nella foto), vice presidente esecutivo di Lockheed Martin International e presidente di Lockheed Martin Global, a Roma per discutere di collaborazioni industriali con l’Italia e per prendere parte a un seminario organizzato al Centro Studi Americani dalla rivista Airpress.
Mr. Dewar, su quali sfide industriali vi concentrate attualmente in Italia?
Desideriamo aumentare l’interoperabilità e la cooperazione tra le nostre nazioni. Abbiamo due buoni esempi in questo senso che includono Usa e Italia e sono i programmi del caccia F-35 e del sistema missilistico Meads.
Perché Roma o altri Paesi dovrebbero puntare su questi vostri prodotti?
In primo luogo perché vanno incontro alle minacce a breve termine che entrambi abbiamo. Nessuno avrebbe potuto predire qualche anno fa che nel 2015 avremmo avuto di nuovo un’aggressione russa nell’Est europa o avrebbe potuto immaginare la complessità dello scenario mediorientale. C’è poi un altro capitolo, che riguarda invece i ritorni industriali.
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Può fare qualche esempio?
Solo il programma F-35 genererà più di 6 mila posti di lavoro in Italia. Tutto sta appena partendo. A settembre il primo aereo italiano ha volato per la prima. Da uno studio realizzato da una società indipendente, risulta che l’impatto economico del programma sul Paese sarà di circa 15 miliardi di dollari. E non è solo un jet italiano. A Cameri si costruiranno anche i caccia olandesi e oltre ad essere il principale centro di manutenzione del velivolo in Europa. Questo include anche i jet americani presenti qui e quelli dei partner della Nato.
Oggi il segretario alla Difesa americana, Ashton Carter, è a Roma. Incontrerà il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Si parlerà anche di rafforzamento del cosiddetto Southern flank della Nato.
Ed è un bene. Le relazioni tra Italia e Usa sono davvero buone e il dialogo non manca, così come l’identità di vedute. Entrambi i Paesi però sentono forte la pressione per tagliare le loro spese militari. Voi per questioni di budget e anche noi per gli effetti del sequestration.
E come si concilia ciò con la necessità di investire in difesa e sicurezza?
Di sicuro le minacce che ci circondano non cambiano. Nel Mediterraneo, ad esempio, penso alla Libia e ai potenziali effetti dell’immigrazione incontrollata, gestita da militari anche sotto l’aspetto umanitario. Dobbiamo continuare a investire e semmai fare meglio con le minori risorse che abbiamo.
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Dove andrebbe concentrata maggiore attenzione?
Siamo di fronte a minacce sempre più ibride, ma se dovessi parlare di una sfida comune, questa è senz’altro la cyber security. Nelle scorse settimane negli Usa abbiamo avuto un ennesimo attacco a un’istituzione governativa, questa volta attribuito alla Russia. E sono ben noti alcuni problemi con la Cina. Sia che si parli di settore militare sia civile, il piano cibernetico è ormai sempre presente. La cooperazione in questo campo, politica e industriale, è assolutamente necessaria.