Matteo S. non ha ancora finito di allacciarsi i desert boots che Matteo R. lo prende in contropiede. Bisogna intervenire contro l’Isis, aveva tuonato Salvini, senza escludere di mettere gli scarponi nella sabbia del deserto. Il capo della destra populista diceva così per dire (ne dice tante), invece Renzi sembra intenzionato a fare sul serio: in gran segreto, durante l’assemblea dell’ONU, si è impegnato con gli alleati americani a fornire di bombe i quattro Tornado che sfrecciano sui cieli iracheni.
Apriti cielo. Beppe Grillo, spiazzato e sorpreso, ha cominciato a saltellare come il simpatico animaletto dal quale ha tratto il cognome. La sinistra pacifista ha innalzato la bandiera di John Lennon chiedendo a gran voce che la libertà sia difesa, purché lo faccia qualcun altro. La destra berlusconiana (quel che ne rimane) vorrebbe che il lavoro sporco venisse fatto da Putin per poi raccogliere qualche briciola.
Quanta ipocrisia in questo teatrino popolato sempre dagli stessi attori che recitano un identico copione. Per la verità, nemmeno il presidente della Repubblica ha contribuito a fare chiarezza. Sergio Mattarella ha messo in guardia da azioni unilaterali, ma che cosa vuol dire? La ministro Roberta Pinotti insieme agli stati maggiori e al “complesso militar-industriale” stanno giocando alla guerra nelle segrete stanze di palazzo Baracchini? Il capo del governo si è messo in mente di spezzare le reni al Califfato tutto solo soletto? Accettare l’invito di Barack Obama e del governo legittimo iracheno vuol dire buttarsi in avventure unilaterali? O l’inquilino del Quirinale, che presiede il consiglio supremo della difesa, non ne sapeva nulla?
Il fatto è che ancora una volta, in occasione di scelte concrete, di decisioni difficili, quando dalle parole bisogna passare ai fatti e dalle esortazioni occorre arrivare agli schieramenti, emerge che l’Italia naviga a vista, non ha una rotta e non ha nemmeno una politica estera. Non che in passato abbia brillato, ma da alcuni anni ormai non sa proprio cosa fare. Riemerge, così, la vecchia tentazione, anzi l’antico vizio secondo il quale il problema non è tanto darsi degli obiettivi chiari in base all’interesse nazionale (che oggi si persegue nell’ambito di alleanze multinazionali), ma di posizionarsi.
E’ la diplomazia del posto a tavola che risale per la verità ai Savoia (i quattro Tornado in fondo sono l’equivalente del manipolo di bersaglieri in Crimea). Con una differenza: la monarchia piemontese, sotto la guida di Cavour, aveva un obiettivo di fondo (unificare l’Italia sotto la propria egemonia) che perseguiva con tutti i giri di valzer internazionali possibili. Quanto all’Italia della Prima Repubblica, poteva cuocere il pane in due forni perché il patto Atlantico le copriva le spalle. All’Italia della seconda repubblica manca del tutto la meta.
Se è così, inutile prendersela con i francesi se non ci invitano a cena. O con i tedeschi se si tengono fuori dal pantano mediorientale. O con gli inglesi che fanno calare la nebbia sulla Manica. Il problema è capire che cosa vogliamo fare noi. La Libia è la nostra priorità, ha detto Renzi. Bene, ma che vuol dire? Auspicare un accordo tra le fazioni, una specie di Loya Jirga afghana dove le condizioni sono del tutto diverse? Oppure stare con un nostro storico partner, l’Egitto? E la stabilizzazione della Libia non è essa stessa collegata alla sconfitta dell’Isis e a una nuova sistemazione della Siria e dell’Iraq?
Il Nord Africa e il Medio Oriente stanno vivendo il più difficile momento dopo la fine dell’Impero ottomano. Non esiste più una potenza egemone che detti le regole. O una spartizione a due come durante la guerra fredda. Oggi c’è solo uno squilibrio del terrore. Grande è la confusione sotto il cielo; la situazione non è eccellente a differenza da quel che predicava Mao Tsedong, però offre all’Italia una chance per uscire dall’angoletto giocando un ruolo attivo e importante.
E’ essenziale, allora, che il governo e il Parlamento lo vogliano e sappiano che fare.
Stefano Cingolani